TRAMA
Paul e Jeanne si incontrano per caso in un appartamento da affittare in rue Jules Verne a Parigi. Tra i due nasce una relazione che si consumerà sempre all’interno di quelle quattro mura, mentre all’esterno le loro vite proseguiranno separate.
RECENSIONI
Anticipato, per desideri proibiti e sesso “politico”, da Il Conformista, il capolavoro di Bernardo Bertolucci è segnato in modo decadente da Eros (sesso esplicito che diventa urlo di disperazione) e Thanatos (la frequenza degli animali morenti), dai corpi dei due attori protagonisti, dalla claustrofobia conturbante dell'appartamento, come si fosse in un enorme ventre femminile (rosso carne alla Francis Bacon, citato anche nei dipinti sui titoli di testa, mentre Vittorio Storaro impronta la fotografia sull’arancione), dalla psicanalisi, dall’allegoria di una borghesia smarrita che abita un non-luogo (l’appartamento disabitato) e che cerca nel sesso altre vie di comunicazione, fuggendo il conformismo. Enorme scandalo alla sua uscita, il film fu vittima di provvedimenti giudiziari drastici (sequestrato per "esasperato pansessualismo fine a se stesso", condannato alla distruzione dalla Cassazione) che, per fortuna, non prevalsero. Additata, in particolar modo, la sequenza del burro, con dialogo contro la famiglia durante la sodomizzazione, improvvisata da Marlon Brando (Bertolucci s’è scusato nel 2013 con Maria Schneider; Catherine Breillat, presente sul set, ha negato ci fosse stata violenza). L’attore è in stato di grazia e co-regista, nonostante una sceneggiatura costruita nei minimi dettagli, come confermato da un’entusiasta Bertolucci (“La scena sui ricordi di infanzia sono ricordi suoi: le parolacce anni cinquanta che hanno fatto impazzire il pubblico americano erano il suo linguaggio”): si mette in gioco a tal punto, e l’opera trasuda di ciò, da dichiarare a fine riprese che non avrebbe mai più girato un film del genere, dove si è “Sentito violentato dall’inizio alla fine, tutti i giorni”. Jean-Pierre Leaud, invece, interpreta un cineasta e cita l’amore, più lirico, de L’Atalante. Fecero epoca, oltre allo scandalo che chiamò i nomi di Bataille e Céline, il cappotto di cammello di Marlon, i jeans al contrario di Maria Schneider, il sax solista di Gato Barbieri.
“Ero io il mio peggior nemico. Nulla c'era che volessi fare e potessi anche non fare. Anche da bambino, quando nulla mi mancava, io volevo morire; volevo arrendermi perchè non vedevo senso nella lotta. Sentivo che nulla si sarebbe provato, sostanziato, aggiunto o sottratto continuando un'esistenza che io non avevo chiesto”
(Henry Miller)
Bertolucci conduce un racconto asimmetrico ed eterogeneo, in cui al caso e a quattro mura di un appartamento in affitto a Parigi è affidato il riscatto delle più disparate frustrazioni di Jeanne e Paul. Supremazia dell'Eros che si fonde e confonde all'odore di decomposizione che si accompagna alla morte.
Ultimo tango a Parigi si perde in una sensualità primitiva e organicista, dove ribolle e si espande ogni contatto epidermico con la materia e dove il mondo esterno pare dimenticato.
Un perfetto gioco di scatole e di contenitori in cui i personaggi, nonostante tutto, rimangono sempre rinchiusi e ingabbiati: c'è l'appartamento dei due sconosciuti, Paul (Marlon Brando) e Jeanne (Maria Schneider), che diventano amanti per un incontro fortuito, c'è l'appartamento dell'amante della moglie (Massimo Girotti) di Paul, identico a quello che condivideva col marito, c'è l'inquadratura che Tom (Jean-Pierre Léaud) fissa costantemente sulla sua ragazza e futura moglie Jeanne e c'è la casa di lei, scrigno di un polveroso passato.
Bertolucci frammenta l'immagine, costruendo veri e propri agglomerati di rimandi metacinematografici e di riflessi che relativizzano ulteriormente la scissione interiore tra uomo, inteso come coacervo di pulsioni primitive e desiderio, e società come momento di raffreddamento e di irrigidimento di quella parte istintiva e passionale dell'animo umano.
Lo scioglimento del rapporto, tanto morboso quanto mortifero, tra Paul e Jeanne non può che essere tragico: l'Eros che si sprigiona tra i due, apparentemente individuato quale panacea di tutti i mali, lascia ben presto intravedere l'inarrestabile decadenza, lo squallore di un'insoddisfazione, una cura inefficace alla solitudine, al passaggio d'età, ad un lutto non ancora del tutto elaborato.