TRAMA
In seguito alla cacciata del pavido sceriffo Thomson da parte della banda di reietti capitanata da Abe McQuown la cittadina di Warlock decide di liberarsi dalla piaga dei fuorilegge assoldando uno sceriffo mercenario di nome Clay Blaisedell.
RECENSIONI
Il trattamento del romanzo omonimo (Warlock) di Oakley Hall ad opera dello sceneggiatore Robert Alan Aurthur è composito e ben articolato, e si coniuga alla perfezione con la poetica della complessità narrativa e della commistione dei generi di Edward Dmytryk, uno dei pochi registi che qualche anno prima della realizzazione di Ultima notte a Warlock riuscì a tirarsi fuori dalle liste nere del senatore McCarthy.
Ultima notte a Warlock lavora su molte direttrici tematiche e su un principio di rigore della messa in scena come armonia della rappresentazione in cui tutte le derive devono convergere. Se nonostante lo specimen geometrico caratteristico della costruzione filmica di Dmytryk alcuni noir come L’ombra del passato o Odio implacabile, per la natura del genere refrattari all’ingabbiamento diegetico, risultano architetture incompiute con all’interno irrisolte zone d’ombra, la logica utilizzata per la composizione del western appare, anche con tutti i risvolti psicologici che contiene e i ragionamenti a cui si offre, limpidamente strutturata.
Uno dei macroelementi sul quale si addensa il discorso di Dmytryk, probabilmente più interessante dell’analisi della divaricazione tra giustizia e giustizialismo, è la riflessione insieme storica e estetica (ovvero metacinematografica, sul western) sulla contrapposizione tra nomadismo e stanzialità. Warlock, come nucleo urbano dunque stanziale, diviene luogo baricentrico dell’azione. Sebbene i colori del canyon del Moab negli scenari naturali del quale la pellicola è stata girata siano accesi, il film si accorpa per intero sul cromatismo ancor più rutilante di Warlock e dei suoi interni. In questo senso ogni dialettica topologica città-canyon, luogo circoscritto-luogo aperto, perde forza perché il perimetro di Warlock ingloba ogni dinamica, la banda di banditi capeggiata da Abe McQuown viene costantemente risucchiata dalla forza gravitazionale di Warlock. Il fenomeno dell’urbanizzazione sta decretando storicamente la fine della frontiera (e del suo mito) e cinematograficamente l’autunno di un genere. I fuorilegge cowboy rappresentano l’aspetto scopertamente irriducibile di una trasformazione in atto e la figura del pistolero Clay Blaisedell (Henry Fonda), mercenario della giustizia, si riconosce nella sua essenza di deraciné e nell’appartenenza a quella irriducibilità (il finale fordiano confermerà questa consapevolezza). Johnny Gannon (Richard Widmark) invece è l’uomo contemporaneo, borghese, forse progressista, l’inurbato, colui che ha abbandonato la gang del fratello per un sentimento di legalità e stanzialità, la figura che dovrà garantire tranquillità e prosperità alla città.
Un’altra componente determinante è quella psicologica, che funziona da referenza sottotestuale nella ragnatela dei rapporti trai personaggi, da tessuto connettivo della narrazione, una fitta trama di legami messa in rappresentazione da un montaggio finalizzato a comporre quadri e piani ravvicinati del racconto che concentrano lo sguardo su uno spazio eminentemente chiuso contraddicendo continuamente la deriva prospettica del campo lungo come (im)possibile via di fuga da Warlock. Emerge violentemente la liaison morbosa, viscerale, esplicitamente omosessuale (forse nessun western prima di questo si spinge così oltre nell’esplorazione della tematica omoerotica) tra le due figure più carismatiche del film, Clay Blaisedell e Tom Morgan (un magnifico Anthony Quinn) la cui apparente rottura provoca uno dei momenti più entusiasmanti della storia del cinema western, il duello rivelatore trai due amici/amanti e la struggente veglia funebre sul cadavere di Tom, corpo che anche dopo la morte permane al centro degli equilibri psicologici del film, come simbolo di immutabile dispensazione dei ruoli: chi è destinato all’erranza (Clay) e chi a fondare una società di valori (Johnny Gannon).
