TRAMA
Lil e Roz, due amiche legatissime, vivono con i loro figli. Le due donne si avvicinano una al figlio dell’altra…
RECENSIONI
Anne Fontaine, regista francese al primo film con cast internazionale, prende tra le mani un romanzo di Doris Lessing, qui adattato dalla prestigiosa - quanto discontinua - firma di Christopher Hampton, autore teatrale e sceneggiatore di successo (e spesso regista di suo), e affronta la storia, delicatissima sulla carta, di due amiche che intrecciano una relazione, ciascuna con il figlio dell'altra.
I flashback iniziali - che ci portano di volata al presente - in poche battute raccontano del legame d'amicizia strettissimo tra le due protagoniste - una sorta di adorazione reciproca -, della vedovanza di una di loro, dei due figli piccoli (con la sequenza che vede madri e bambini quale inimmaginabile presagio delle coppie amorose a venire) che crescono insieme e diventano inseparabili come le rispettive genitrici. Sulla base di presupposti diversi, l'uno si avvicina alla madre dell'altro - il secondo quasi per ripicca, laddove il primo di amore vero era ferito -. La traccia di partenza diventa l'occasione per la regista per lanciarsi in un melodramma patinatissimo, forgiato sulle effigi delle due star Watts & Wright e sulla bellezza da catalogo dei due aitanti giovanotti ('Sono bellissimi, sembrano giovani dei', tanto per capirsi: siamo nell'ambito dell'Inevitabile, di incroci di Destino da monte Olimpo e da Tracotanza che innesca ire divine) e su momenti in cui, per dirla con un bisticcio, il kitsch è troppo chic per suonare sfacciato, troppo consapevole e laccato per far vibrare qualche corda.
E' un peccato, ché i presupposti per un torbido intrico di problematiche c'erano tutti, tra amicizia quasi parentale che si converte in amore quasi incestuoso (i figli come estensioni delle madri, i rapporti incrociati come variante possibile dell'attrazione tra le due donne) e la passione che viene sacrificata sull'altare della possibile reazione sociale. E perché l'evoluzione della storia - nella quale, onore al merito, non si giudica e non si sottendono pistolotti di alcun tipo - non è affatto scontata.
Fanfara del dilemma etico, ma anche dell'invito alla trasgressione urbana e lecita, quella che solletica la prurigine borghese e non fa male a nessuno, il film si risolve in un teatrino di pura figura, lucida ed esangue, dove, nonostante il (bel) finale e le atmosferiche musiche (Christopher Gordon e i suoi archi), le passioni sono troppo annacquate per infiammare il tabù.