TWO FACES OF MY GIRLFRIEND

Anno Produzione2007

TRAMA

Guchang, un ragazzo buffo e impacciato con nessuna esperienza in fatto di donne, fantastica di incontrare una ragazza speciale. Il destino lo accontenta e una sera, mentre torna a casa in metropolitana, gli mette di fronte una fanciulla dall’aspetto spettrale davanti alla quale, spaventato, non trova niente di meglio da fare che perdere il cellulare e darsela a gambe. La incontra nuovamente il giorno dopo, senza riconoscerla, alla mensa studentesca dove Anni, questo il nome della ragazza, torna a cercare il portafoglio dimenticato sul tavolo. Il portafoglio naturalmente è finito nelle tasche di Guchang, che nel frattempo si sta facendo una bella mangiata coi soldi di lei. Grazie a questa casualità i due iniziano a interagire, ma Anni dà subito segni di stranezza…

RECENSIONI

Spiccata inventiva visiva e grande padronanza dei generi cinematografici attraversati: questi gli elementi più evidenti di “Two Faces of My Girlfriend”, opera seconda di Lee Seok-hoon, già autore dell’apprezzato “See You After School” (2006). Nonostante si tratti di una commedia romantica, bastano i primi cinque minuti di film a farci capire che la vicenda dello spiantato Guchang e della sciroccata Anni sarà tutta una sorpresa e un carosello di toni e registri: la prima sequenza ospita un fantastico sprazzo di musical, la seconda è una bizzarra situazione metacinematografica e la terza si catapulta in piena zona horror (magistralmente costruita) per lanciarsi infine in una volteggiante scorribanda nell’iperspazio. Sono cinque minuti di sfrecciante divertimento, poi inizia il film. Guchang (un Bong Tae-gyu di una bravura spaventosa) è un adorabile cialtrone che si finge esperto di Taekwondo col nipotino per racimolare qualche soldo e non esita a sgraffignare portafogli incustoditi per placare il borbottio dello stomaco. Anni (Chung Yeo-won al suo debutto sul grande schermo) è una graziosa sbalestrata che semina portafogli sui tavoli della mensa (tanto ci pensa Guchang e recuperarli), schiaccia le bolle d’aria del pluriball per tenere a bada l’ansia e ha un appetito pantagruelico. Sembrerebbero fatti l’uno per l’altra, come la pratica del “bacecchio” (il bacio auricolare) testimonia pubblicamente. Ma c’è un ma, anzi due: la ragazza è ossessionata dal suo ex e quando si sbronza o va su di giri si trasforma in una temibile virago che malmena e tiranneggia indistintamente Guchang, amici e nemici. La ragazza insomma ha qualche rotella fuori posto ma Guchang, anziché allontanarsene inorridito, asseconda intenerito le sue stranezze e i suoi improvvisi sbalzi d’umore, che si rivelano essere disturbi di personalità dovuti a un trauma rimosso. Meglio non rivelare altro. Se nella prima parte il film pullula di gustosissime trovate visive (su tutte la parodia iperbolica del kung fu movie durante la lezione impartita dalla scatenata Anni ai teppisti), nella parte centrale si siede un po’, infilando passaggi abbastanza trasandati e diradando sensibilmente le invenzioni cinematografiche, fino a scadere nella sciatteria vera e propria (la sequenza del ballo collettivo dovrebbe essere un momento liberatorio, ma in realtà fa molto videoclip anni ’80). La seconda parte di “Two Faces of My Girlfriend” si incupisce all’improvviso, diventando addirittura tragica in occasione del flashback rivelatore: lo stile si adegua tempestivamente alla drammaticità della situazione, innalzandosi in plananti riprese dall’alto, illuminazioni lampeggianti e archi piangenti. Terminato il flashback, il film si disloca ulteriormente frequentando atmosfere da dramma psicologico (molti primi piani, dialoghi pensierosi e complicazioni psicoterapeutiche varie), per ritrovare però la verve comica in una fuga verso l’oceano che è al tempo stesso euforia cartoonesca e sgargiante omaggio al Truffaut de I 400 colpi. Poi un trittico di finali (romantico il primo, funereo il secondo, psicoanalitico il terzo) e un epilogo sorprendentemente “bacecchiante”. Uno spettacolare vortice di generi splendidamente interpretato da Bong Tae-gyu (già visto in “Tears” e “A Good Lawyer’s Wife” di Im Sang-soo, presentati alla scorsa edizione del Festival) e brillantemente diretto da Lee Seok-hoon. Una maggiore stringatezza, specie nella seconda parte, avrebbe probabilmente giovato a un film che, pur con questo minutaggio, resta un pregevole esempio di sorridente stravaganza narrativa e visiva.