Drammatico

TUTTO O NIENTE

TRAMA

Londra, oggi. Phil è un tassista, Penny, la sua compagna, fa la cassiera in un supermercato: hanno due figli e sono infelici.

RECENSIONI

Dopo il bellissimo e molto sottovalutato TOPSY-TURVY, Leigh torna agli ambienti e ai personaggi tipici del suo cinema, alla sua umanità negletta, risucchiata da un'indolenza fisica e sentimentale, anestetizzata dalla televisione, che soffre dentro prima di far esplodere all'esterno il suo dolore compresso. Meno naturalistici di quel che si crede (e in questo senso l'abusato parallelo col cinema di Loach è quanto meno inopportuno) ma egualmente tesi, praticando itinerari peculiari, allo scandaglio della realtà, i film dell'inglese vi operano all'interno attraverso una drammatizzazione estremamente elaborata, non mancando spesso di complessi rimandi metaforici e giocando moltissimo con l'improvvisazione di attori alle prese con caratteri eccessivi e grotteschi. Per quanto, dunque, il contesto sociale sia sempre ben individuato e sostanzialmente mutabile (ieri la medio-alta borghesia di SEGRETI E BUGIE; oggi la classe popolare affogata nei suoi casermoni, con le sue famiglie disagiate e i suoi riti, gli spettri della povertà e della disoccupazione) lo sguardo di Leigh sembra sbilanciato più sui personaggi che sull'impegno descrittivo della loro condizione che, per così dire, emerge come un fatto. Le difficoltà (di ogni tipo: economiche, sociali, relazionali) regnano sovrane nelle sue opere e certi titoli (BELLE SPERANZE, DOLCE E' LA VITA) sono ironiche sottolineature dello strano fato che sembra marchiare le esistenze che vi vengono rappresentate. Anche questo ALL OR NOTHING sembra muoversi in un microcosmo chiuso tra le sbarre di un'ineluttabile sfiga, senza redenzione alcuna, seppure stranamente, perversamente, scanzonato e in cui diverse figure finiscono con l'interagire determinando le consolidate spirali di dolore, risentimento, tenerezza, riconciliazione che ritroviamo spesso nel cinema dell'autore. Ma la storia di questa famiglia appare studiata in eccesso, l'estetica del brutto troppo ricercata e l'affresco meno vivido che in passato: il regista di NAKED (uno dei film più belli degli anni 90), dopo la parentesi "d'epoca" (TOPSY-TURVY, appunto, sorta di oggetto a parte, anche se ridurlo a questo è ovviamente semplicistico) pare sì riprendere il vecchio andante, ma senza il brio inventivo di un tempo, cullandosi un po' nella sua maniera e firmando un prodotto che non aggiunge granché alla sua (bella) filmografia: i dialoghi, gli scambi di battute - imprescindibili punti di forza del suo cinema, frutto di un lavoro in perenne progress - mostrano sporadicamente la corda; i suoi proverbiali campi e controcampi sono più pesanti, non sempre efficaci; lo psicodramma a volte suona posticcio e non coinvolge. TUTTO O NIENTE - film da non buttare, tutt'altro, fosse anche per alcuni singoli, intensi momenti (la scena in cui lo spasimante di Samantha mostra l'incisione che si è praticata sul petto, le tre amiche al locale) e per una recitazione (il doppiaggio massacra puntualmente i film di questo autore) curatissima (è noto che prima di girare Leigh faccia lunghissime sedute di prova per poter conseguire la perfetta aderenza tra il personaggio e l'attore che lo interpreta) - è frutto di una vena un po' appannata ma niente affatto prosciugata. Il rigore è quello che conosciamo così come la capacità di penetrare con lo sguardo nei meccanismi che attendono al complicato intrecciarsi dei rapporti umani. E non cambia neanche l'amarezza del riso che affiora sulle nostre labbra alla vista dei protagonisti di queste storie che impiegano due ore buone di tormenti, lacrime e imprecazioni per arrivare finalmente a toccarsi, stringersi, abbracciarsi.