TRAMA
2067. L’anziana cecena Milana rievoca i fatti di sessant’anni prima: nel 2007 una dura legge del governo francese ordinò la sua espulsione, a salvarla furono i compagni di classe con la collaborazione della madre di uno di loro.
RECENSIONI
Ispirato alla legge Sarkozy del 2007 sull’immigrazione clandestina, l’attore e regista francese Romain Goupil, già assistente giovanile di Godard e Polanski, iscrive sullo schermo un percorso di elaborazione politica: Les mains en l’air è una parabola apertamente significativa, che ha come obiettivo dire qualcosa, e per farlo si sviluppa nella forma di fiaba. Dall’equilibrio iniziale (la convivenza etnica) alla sua rottura (il rimpatrio forzato dei clandestini), passando per le peripezie dell’eroe (la fuga del gruppo di bambini) fino a ricomporre la situazione iniziale (la regolarizzazione di Milana), il lungometraggio rispetta lo schema di Propp sulla fiaba con alcune deviazioni sotterranee: se la progressista Cendrine (Valeria Bruni Tedeschi) ha chiaramente funzione di fata, qui l’antagonista è invisibile e coincide con il repressivo governo francese. A manifestarsi sono i suoi rappresentanti, le divise di un’autorità poliziesca che si moltiplicano come metastasi sullo sfondo transalpino.
Tutti per uno, titolo tradotto svogliatamente per dare l'idea di 'comunità' (per tacere del doppiaggio), è quindi un atto di coscienza che sottolinea la posizione dell'autore: identificandosi con la figura di Cendrine, egli costruisce l'utopia di una Francia babelica, dove le lingue si insegnano a vicenda (il francese alternato al ceceno), la scuola è laboratorio di integrazione e, soprattutto, la mobilitazione civile si accende e sconfigge l'ingiustizia sociale. Goupil intavola la pellicola come 'dramma gentile', ruolo principale ai bambini che inscenano la rivolta contro l'autorità e più implicitamente contro gli adulti che la legittimano. Tutto è politica: dalle relazioni dei personaggi principali, come la contrapposizione sinistra/destra tra Cendrine e il marito Luc (lo stesso Goupil), alle modalità rappresentative semplici (campi e controcampi, inquadrature di sintesi) che indugiano su Tv, giornali, divise.
Se la sceneggiatura dell'autore colleziona alcuni spunti rilevanti, come il testo teatrale recitato dai bambini che suggerisce un 'gioco delle parti' dietro la questione, questi purtroppo restano tali perché - come spesso accade - vengono sacrificati all'altare del messaggio: l'urgenza di comunicare il punto di vista spesso costringe all'angolo il processo cinematografico necessario per la riuscita. Così Goupil inciampa su simbolismi evidenti (la fiamma di Cendrine è, banalmente, la fiamma dell'integrazione), automatici slittamenti di senso uomo-animale (la nidiata di bambini che accoglie la nidiata di topi), divisioni rigide di ruoli (ancora Cendrine/Luc). Nessun guizzo sul versante rappresentativo: la scelta legittima della fantascienza (Sarkozy non è citato - 'Non ricordo chi fosse presidente', Milana) si limita a gocce di architettura avveniristica, lasciandoci perplessi sia l'innesto iniziale che quello finale. E' cinema critico e antagonista quello del francese, racconto sullo stato sociale, politico senza timore di dirlo: il suo discorso è solare, la voce non suona stimolante.
A Romain Goupil vanno riconosciute coerenza stilistica e onestà intellettuale. Figlio della cinematografia militante post-sessantottina, stagione popolata di folgoranti e tardive narraAzioni (Mourir à trente ans, 1982), il regista non nasconde e, anzi, rivendica, ad ogni inquadratura, il diritto ad uno sguardo capace di cogliere la complessità della società e di decomplessificarla mediante categorizzazione: gruppi socioculturalmente differenti messi in relazione, personaggi che incarnano più sovente un Noi collettivo o che si ergono a portavoce di una comunità. L'universo filmico diviene così il simulacro di un mondo spiegato e spiegabile che, non rinnegando la complessità del reale, la traduce in opposizioni binarie rigidamente impostate: bambini (idealizzati) e adulti, poveri e ricchi, francesi 'de souche' e migranti di terza generazione, anarchia e istituzione. Lo stile neutro facilita la captazione di dinamiche sociali e situazioni esemplari, atte a cristallizzare aporie e contraddizioni e ad avanzare possibili risposte finzionali. Tutti per uno non sfugge ad una logica ancora 'affermativa', sebbene moderatamente rassegnata. Le 'mani in alto' del titolo originale attestano una volontà di continuare ad agire, anche soltanto per dichiarare una resa. Dietro una forma volutamente imbrigliata e codificata, il cinema identitario di Goupil è un invito, ideologicamente orientato, ad una stoica (re)azione in grado di saturare il vuoto ed esorcizzare l'apatia del dopo-sconfitta.