TRAMA
Torino: Walter, solitario e vergine studente di filosofia, fa l’obiettore di coscienza in un centro per nomadi. Scappa da casa, non ha lavoro né soldi.
RECENSIONI
La parte iniziale strappa un plauso: finalmente, in Italia, una regia tecnicamente giovane e moderna, con uso di accelerazioni e rewind digitale, montaggio sincopato, inquadrature sbilenche e macchina da presa a mano (quando inquadra, criticamente, le scritte pubblicitarie in città, l’ex-critico cinematografico Davide Ferrario ricorda Godard), che pone in primo piano il soundtrack dei C.S.I. (compaiono all’ultimo, disastroso esame universitario), perfetto per un racconto fatto di libertà e periferia (rifanno anche l’Heidi di giapponese memoria). Il seguito è anche meglio: il best seller di Giuseppe Culicchia contiene un espediente vincente, quello con cui prende a protagonista (perfetto Valerio Mastrandrea con le sue espressioni scoglionate) un giovane “diverso”, che non si vuole omologare alla società moderna, che rifiuta di entrare nel meccanismo e nei ruoli sociali, che identifica i cliché e le tappe obbligate come qualcosa di grottesco e ridicolo e che, da cinico nichilista che preferisce essere un perdente, conquista subito le simpatie dello spettatore. La sua verginità è un vessillo di intenti: scomparirà sotto il fuoco di fila di donne aggressive in un passaggio che indica, anche, un’arresa, un soccombere non traumatico. Divertente cinema "contro" (è dedicato a Lindsay Anderson di cui Ferrario, in passato, tradusse il libro su John Ford): il Trainspotting italiano (citato Iggy Pop, non a caso), senza droga, con meno situazioni e caratteri eccezionali e focus sullo smarrimento dei tipi “qualunque”, meno post-moderno e più esistenziale. La corsa dietro la bara cita Entr'Acte di René Clair.
