TRAMA
Tre uomini, un’evasione nella notte. Tra questi Gustave Minda, detto Gu, che si reca a Parigi per rivedere la sua donna. Manouche adesso sta con Jacques il Notaio, ma l’uomo viene ammazzato nel proprio locale davanti ai suoi occhi. La mala di Marsiglia si scontra violentemente con quella di Parigi per il dominio del contrabbando di sigarette. Gu medita l’esilio in Italia, ma qualcuno gli propone di assaltare un blindato carico di platino. L’ispettore Blot, della Omicidi, è sulle sue tracce.
RECENSIONI
Nel 1967 esce questo film: un rito di fondazione del polar, la scrittura delle sue coordinate e insieme uninterpretazione in apoteosi tra le massime del genere. Nella scena dapertura, giustamente leggendaria, Melville distribuisce le carte: nel buio tagliato da squarci di luce, si sviluppa una triplice fuga che porta alla morte di uno degli evasi. E un movimento fluido e silenzioso, come la pace prima del boato, che nellassenza significativa del segnale umano razionale (il verbo) afferma già la possente influenza della mano fatale, subito capace di segnare la curva tragica degli eventi. Siamo al presagio, alla previsione potenziale di unopera che cammina a fiammate (silenzio moto sangue); Le deuxième souffle prende di partenza lo stilema americano e lo ravviva, come sempre nellautore, estenuandolo da una parte e dallaltra prosciugandolo allestremo. Nel porre come traccia il mito favolistico dellUomo alla ricerca della Donna (la prospettiva solo apparentemente verosimile della fuga damore), cede così la meccanica razionale dellintreccio; questa è trafitta obliquamente da riflussi di romanticismo che, proprio perché gelidamente arginato, diventa parossistico (Manouche sa che Gustave morirà; ce lo dice ilvolto, la postura, le frasi sospensive, la posa sublimata nel finale). Nelle scene puramente criminose, caratterizzate da una costitutiva stesura degli archetipi (il poliziotto, il fuorilegge, la banda, lamante), i dialoghi escono di bocca come incisioni lapidee, alla stregua di sentenze che iscrivono ogni figura al proprio ruolo inesorabile. Tali premesse, in mano a Melville, si piegano alla dialettica costante tra due momenti, sospensione e esplosione, dove luno non è meno ricamato dellaltro (una scena classica di raccordo, Gustave in macchina, grazie al primo piano di Lino Ventura viene bagnata di significato); la lieve galleria di simboli procede al montare peculiare della tensione. Se il colpo al furgone dei lingotti è notevole per marchiare lantenato del film (la sfida americana allautorità, con western connessi), risulta angolare la mirabile ripresa dellattesa: notare il bandito che posa gli occhi sul formicaio e, senza motivo, si sofferma sul brulicare scomposto che presume schiettamente il momento della strage. La stima del futuro vive nei simboli, dunque, tra tutti la danza delle pistole: queste prolungano i protagonisti, vanno di mano in mano, scompaiono eraddoppiano, simulano impugnature come ipotesi carsica sullo scorrere degli eventi. Ancora costante poetica, su piano sostanziale il cacciatore e la preda si scambiano sguardi di profondo rispetto, risultando nettamente speculari, e intavolano una lotta archetipica dal profumo mitologico; il paramento morale impone lonore delle armi, che il vincitore concederà naturalmente al vinto, come atto prestabilito già segnato nellordine delle cose. Questo insistere sul manto fatale, il riflettersi geometrico delle pedine, si piega nella cinepresa melvilliana a una magnificazione stilistica: lo specchio funge da metonimia centrale dellintreccio, che ospita la carezza di Gustave allamata, prima della strage, e la caduta di uno dei complici freddato da un proiettile.
A margine: il titolo italiano, Tutte le ore feriscono
lultima uccide, suona talmente fuori luogo e fieramente retrò da seminare un fascino sottile. Il film è tratto da un romanzo di Josè Giovanni, inoltre coautore dei dialoghi.
