Documentario, Recensione

TUTTA LA BELLEZZA E IL DOLORE

Titolo OriginaleAll the Beauty and the Bloodshed
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2022
Durata122'
Interpreti

TRAMA

La storia epica ed emozionante dell’artista e attivista di fama internazionale Nan Goldin, raccontata attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, della sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco.

Leone d’oro alla Mostra di Venezia 2022

RECENSIONI

Laura Poitras è una importante documentarista statunitense, premiata con l'Oscar per il fondamentale lavoro ibrido tra giornalismo e attivismo che è Citizenfour, racconto e motore parziale dell'eroico whistleblowing di Edward Snowden a proposito delle pratiche illegali di intercettazione effettuate della NSA e della sua successiva fuga a Hong Kong. Edward Snowden è una delle figure più paradigmatiche espresse in tempi recenti a proposito della diserzione come massimo gesto etico e, nello specifico, della diserzione dagli Stati Uniti d'America intesi in senso stretto come apparato statale e in senso ampio come ideologia. Poiché ci sono tanti modi e tanti luoghi per disertare l'America, si può facilmente trovare una continuità con l'ultima opera della regista per cui ha vinto, con qualche sorpresa, il Leone d'Oro 2022: Tutta la bellezza e il dolore. Nonostante la firma d'autore (e non sono molte in ambito documentaristico), nonostante la regista appaia con discreta frequenza in campo e intervenga, si tratta di un doc completamente identificato con il suo soggetto. Per tutti si tratta del film su e di Nan Goldin.
Non si può riassumere in breve una delle figure più decisive e influenti degli ultimi decenni artistici. L'opera di Nan Goldin, fotografa e attivista, è un corpo fluido che trova una di più forme possibili dentro libri: il più celebre e intenso, The Ballad of Sexual Dependency, esce nel 1986 e registra la vita dell'autrice dentro gli anni bohemien della controcultura newyorkese a ridosso dell'epidemia di AIDS; il più articolato e incantatorio, The Devil's Playground, esce nel 2003 ed è una ricognizione di ciò che resta, il diario di viaggio di un'artista affermata e nomade tra mattine cristalline e crepuscoli lividi, stanze d'hotel e di ospedale. Si tratta di progetti lasciati aperti, continuamente riordinati, riscritti con aggiunte e sottrazioni nelle mostre strutturate come proiezioni di diapositive. I luoghi, Nan stessa, gli amici sono figure ritornanti, ora in stato di grazia - nessun altro o quasi sa puntare l'obiettivo nel punto e nel momento esatto in cui si materializzano i famosi fragments of paradise di cui parla un altro grande newyorkese adottivo Jonas Mekas - ora nel mezzo del dramma privato e collettivo. Il linguaggio di Nan Goldin è unico perché fatto per mostrare la vita com'è (lil sesso, la violenza, la morte, l'estasi) nei suoi fondamentali, senza diaframmi. Si tratta di una forma di autofiction fotografica. Come afferma aprendo Tutta la bellezza e il dolore, "it's easy to make your life into stories but it's harder to sustain real memories. The real experience has smell and it's dirty and it's not wrapped in simple endings. The real memories are what affects me now". Si tratta anche di un linguaggio in cui personale e politico sono inestricabilmente fusi, sono una cosa sola. Nan Goldin non è mai osservatrice esterna. Nan Goldin come testimone della violenza maschile di cui porta e mostra i segni; Nan Goldin nell'epicentro della tragedia dell'AIDS, curatrice nel 1989 della mostra "Witnesses: against our vanishing", a fianco di David Wojnarowicz, Peter Hujar, Mark Morrisroe, Philip-Lorca Di Corcia, Vittorio Scarpati e tanti altri e poi sola superstite che deve tenere viva la memoria; Nan Goldin vittima della successiva colossale epidemia americana ovvero la dipendenza da oppiacei criminalmente provocata dal farmaco Oxycontin e quindi attivista di primo piano contro la famiglia Sackler che ne è responsabile; Nan Goldin, anche, testimone di una New York prima della gentrificazione quando ancora vaste aree di Manhattan erano controspazi e dell'arte irripetibilmente liberissima e radicale, delle sperimentazioni esistenziali che potevano crescere in un ambiente simile.

Il titolo italiano Tutta la bellezza e il dolore edulcora, sanifica e falsifica l'originale All the beauty and the bloodshed. Questo perché lo spargimento di sangue, nella biografia di Nan Goldin e attorno a lei, è stato letterale; perché la poetica di Nan Goldin è una deontologia e prevede di dar forma a uno squarcio nel mondo, a una resa dei conti con i fatti, a un momento di verità perciò non prevede eufemismi; infine perché la formula del titolo è una citazione letterale che arriva come un'epifania da uno dei molti documenti mostrati per la prima volta all'obiettivo di Poitras. Senza rovinare la sorpresa - perché si tratta di un momento di agnizione e un pugno nello stomaco - ha a che fare con uno dei fili tematici che, lungo il film, vengono tesi, giustapposti, senza l'ossessione della coerenza o della struttura. È la storia della sorella maggiore, chiusa in un ospedale psichiatrico perché ribelle e omosessuale e morta suicida. È trauma primario e un imprinting personale e artistico per Nan quindi trova nel film uno spazio altrettanto ampio rispetto a altre più generalmente note vicende. Quella di Nan Goldin è una storia ricorrente di varie forme di resistenza al potere oppressivo della società dei "normali" (la famiglia d'origine come luogo prototipico di tutte le oppressioni: la società eteropatriarcale, il conformismo borghese, l'America). "My roommates, they were trying to run away from America and they found each other" è una delle frasi più intense e commoventi pronunciate nel documentario, accompagnata da una delle sue fotografie più iconiche, Picnic on the Esplanade, Boston del 1973, uno splendido dejuner sur l'herbe di freak i quali, avendo provato sulla pelle quanto era infernale l'american way of life, cercavano, dentro l'America, ciò che America non era. La coazione a definirsi per opposizione, a provare a reinventare il mondo in senso orizzontale e costruire famiglie alternative di beautiful losers disintegrati, di creature notturne sarà ed è l'ossessione di Nan Goldin. Queste altre famiglie diametralmente opposte alla famiglia americana di partenza saranno anche i suoi soggetti, dalle drag queen (che decise di "portare sulle copertine di Vogue" long before it was cool) di un locale dal nome paradigmatico "Other side" fino ai superstiti e ai parenti delle vittime dell'epidemia di Oxycontin. Come dice lei stessa, "la relazione più importante è stata con i miei amici".

I piani temporali si sviluppano come in Dunkirk di Nolan: il resoconto in presa diretta, al tempo presente, della resa dei conti con la famiglia Sackler seguito con partecipazione per niente "fly on the wall" al modo di Citizenfour procede parallelo al racconto al passato, per blocchi tematici, delle tante vite di Nan Goldin dall'amicizia alla Patti/Mapplethorpe con David Armstrong passando di eterotopia in eterotopia per Boston, downtown New York, i locali di strip tease del New Jersey, la comunità gay di Provincetown, le gallerie d'arte di Berlino... Nan Goldin, proprio come Patti Smith, ne esce plurima superstite di plurimi spargimenti di sangue e plurima testimone di plurime bellezze. E come figura esemplare. Il grande successo nelle sale e nei festival di Tutta la bellezza e il dolore non dice soltanto dell'impareggiabile storia portata in dote dal suo soggetto; dice anche dello zeitgeist e di come sia finalmente venuto il tempo in cui Nan Goldin per sue caratteristiche - innanzitutto l'eroismo antieroico, il femminile come politica, la predilezione per i corpi in carne e ossa rispetto alle astrazioni teoriche - può fare il salto da culto per iniziati a fenomeno semipop, come accaduto per esempio recentemente a Agnès Varda. Ci sono state voci dubbiose sul documentario di Poitras - più che altro riguardo l'assegnazione del primo premio veneziano - che ponevano il tema dell'autosufficienza. Quanto è in sé significativo sul lato artistico, linguistico e quanto invece dipende dal soggetto? È una obiezione fondata ma può essere rovesciata. Quanti film recenti hanno altrettanto senso, valore e autenticità, hanno la voce, il corpo, le parole, la storia di Nan Goldin?