TRAMA
Vita e nevrosi di Peter Sellers, attore.
RECENSIONI
Ignorando in scioltezza la tediosa questione se sia o meno giusto, termine tanto univoco quanto inquietante, portare sullo schermo la vita del grande Peter Sellers, ben più interessante è dissertare su come il film sia stato realizzato: il piedistallo è ancora una volta la delicata questione dell'identità. Chi è l'artista? Uomo reale o, più pirandellianamente, soltanto i suoi personaggi? Qual è la linea di confine tra la vita e l'interpretazione? Cosa succede se i due livelli si mescolano? Celandosi dietro la sua maschera (persona...) l'attore non può ontologicamente sviluppare un'identità propria, non ne ha lo spazio vitale, appena vi prova il suo pubblico (spettatori, giornalisti, genitori) reclama di nuovo il travestimento. Un giorno il signor Sellers si guarda nello specchio e scopre incredibilmente di essere nessuno. Tutto questo in potenza: tale materia fiammeggiante, nelle mani di Hopkins, genera un risultato perlomeno controverso. La scelta della gabbia esistenziale in cui Sellers è rinchiuso, la sfinente ricerca del proprio ego che si conclude (?) nei panni del Clarence di Oltre il giardino - fra tanti fantocci infine l'Idiota per eccellenza - è assolutamente coerente, fin troppo: più volte la sceneggiatura si affanna ad esplicitare il tormento dell'uomo Peter, che non esita a ringhiare il proprio disagio sino all'inverosimile abbondante (il confronto con la prole). Un fil rouge di grana grossa, questo, su cui si punta forte rischiando di trascurare malamente sentieri decisivi, dalla macchietta di Blake Edwards che è seconda solo a quella infame di Kubrick sino alla filmografia del nostro, ridotta a catalogo di innocue citazioni (con più di un'idea trapiantata con le cesoie dal cinema che fu). Occorre però ammettere che Tu chiamami Peter evita la deriva completa indagando nel profondo i tic del protagonista, fottendosene bellamente dello spettro della dissacrazione (Sellers è mostrato perfino in bagno nell'espletazione dei propri bisogni) e sventolando una tendenza alla trovata di indubbio effetto: tra tutti il prestito ai comprimari del volto del protagonista, per giustificare lo stacco narrativo tipico della biografia. Nella scena migliore, l'unico momento che restituisce il dissidio dell'attore oltre ogni parola, la signora Sellers siede al beffardo desco del dr. Stranamore, che non riesce (non vuole/non può) abbandonare ormai il personaggio. Giusto per fugare ogni dubbio sul cast: Geoffrey Rush non interpreta Peter Sellers. Egli è Peter Sellers, essendosi visto raramente un esercizio di mimesi (si intenda fisico, gesti, sguardi, postura) tanto chirurgico; Emily Watson si rivela incazzata e lacrimevole come da copione, la prepotente bellezza di Charlize Theron è agilmente plasmata sulle fattezze di Brigitte Bardot. Peccato però che il grande attore non esista (più): né nella storia della sua vita né nel nostro cuore di spettatore. Questo Peter Sellers fa qualcosa che all'originale non sarebbe riuscito, restare solo sullo schermo.
