Drammatico

TROPICAL MALADY

Titolo OriginaleSud Pralad
NazioneFrancia/ Thailandia/ Italia
Anno Produzione2004
Genere
  • 66652
Durata118'
Scenografia
  • 42278

TRAMA

Keng, un giovane soldato, e Tong, un contadino, si amano. Un giorno, in un periodo in cui le vacche della regione sono aggredite da un animale selvaggio, qualcuno (Tong?) sparisce. Una leggenda narra che un uomo può trasformarsi in un animale feroce e un soldato (Keng?) si avventura nella giungla tropicale laddove un mito può diventare realtà.

RECENSIONI


Quando chiudiamo gli occhi, chiaramente vediamo il buio ma se fissiamo questo buio abbastanza a lungo emerge qualcosa. L’immagine viene da dentro, dalla nostra mente. Questo è ciò che ho voluto far vedere in Tropical Malady: la mente di un mondo che si adatta a un altro mondo. Il soldato riesce a vedere le immagini dell’altra parte, e continua a vedere se stesso. Si trova sul confine di due mondi.
Apichatpong Weerasethakul

Composto di due parti tra loro intimamente legate, Tropical Malady segue nella prima tranche la storia d’amore di Keng e Tong, un soldato e un contadino, e, attraverso la serena contemplazione di quadretti di ordinaria quotidianità, senza sottolineature di sorta, ne mostra il tranquillo, quasi idilliaco menage. Lo sguardo sui giorni della coppia, che è quello sulla vita di un Paese, diventa scrutare interrogativo in una seconda parte che modula su un registro completamente differente e che prende le mosse da una leggenda (uno sciamano khmer, trasformatosi in tigre, viene ucciso da un cacciatore e rimane prigioniero nel corpo dell’animale fantasma, destinato a cacciare a sua volta qualsiasi uomo osi inoltrarsi nel suo territorio), per farsi onirica riflessione sulle paure primarie e il valore dei ricordi (la malattia cui si riferisce il titolo è proprio la memoria delle persone amate).
Curatissimo sul piano figurativo (l’albero notturno rimane visione folgorante), Tropical Malady si dipana sinuoso tra tempi programmaticamente dilatati (una vera sfida per l’impaziente occhio occidentale), colpendo per il sontuoso rigore delle sequenze e per l’originalità di un impianto di indubbia suggestione che riesce a dirottare da un approccio realistico, anche se pieno di elementi anticipatori, a una deriva tutta simbolica che viaggia a metà strada tra la favola e il sogno (si è parlato di Lynch, non a caso, potendosi azzardare che la prima parte sia una rievocazione fatta nella seconda – del resto il film comincia nella giungla -).
Scommessa distributiva dell’Istituto Luce (alla coproduzione partecipa anche Fabrica), film di fruizione a dir poco difficile - per i suoi ritmi, per il senso sfuggente delle molte metafore, per il disinteresse dell’autore all’azione (la seconda parte è praticamente priva di dialogo) -, a serio rischio di esodo, Tropical Malady che mantiene, nell’edizione italiana, la lingua originale, è opera bifronte (i due protagonisti rappresentano due opposte realtà sociali, alla serenità lucente della prima parte fa riscontro l’oscurità inquieta della seconda), ma solo apparentemente scissa, una pellicola di alto spessore che prima spiazza e poi, all’uscita dal cinema, cresce invocando una seconda (terza, quarta…) visione consapevole.
Premio speciale della giuria a Cannes 2004. Vincitore dei due massimi riconoscimenti al festival del cinema a tematiche omosessuali di Torino.


Anche se la storia ha una struttura lineare, Tropical Malady si sviluppa su due piani distinti che rappresentano due mondi molto diversi. Tuttavia questi mondi diversi sono collegati da personaggi che sarà il pubblico a decidere se siano o no gli stessi. Ciò che è essenziale sono i ricordi. I ricordi della prima parte convalidano la seconda e viceversa. Nessuna delle due esiste senza l’altra.
Apichatpong Weerasethakul