Fantascienza, Recensione

TRANSFORMERS

TRAMA

Transformers buoni (Autobots) e cattivi (Decepticons) si contendono il magico cubetto All Spark, che consentirebbe agli ultimi di dominare l’universo. Lo sfigato post-adolescente Sam, “amico” dell’Autobot Bumblebee, aiuterà la sceneggiatura a prendere la sua piega inevitabile.

RECENSIONI

Dopo “il film tratto dalla giostra” (Pirati dei Caraibi) ecco “il film tratto dai robottini”. Preso atto di questa nuova tendenza di Hollywood, che sfocerà forse in una trilogia su La Palla Strumpallazza, cerchiamo di dire qualcosa si sensato su questo Michael Bay’s Transformers. Confesso subito l’ignoranza pressoché totale sulle fonti: i giocattoli Hasbro/Katara li ho maneggiati qualche volta da fanciullo, sulle serie TV sarò inciampato in qualche zapping post-scolastico e del lungometraggio animato The Transformers: The Movie (1986) ho appreso l’esistenza una manciata di ore fa. Quello che i miei occhi sottoqualificati vedono, nel film di Bay, è però un oggetto, cinecriticamente parlando, piuttosto interessante, che porta a compimento il percorso di [tra(n)s?]formazione che il regista americano sembra aver definitivamente avviato nel precedente The Island: il progressivo abbandono del suo status di teorico/esteta della baracconata ipercinetica per approdare in territori di “altro” cinema popolare. Difficile stabilire se si tratti di vera maturazione (dunque evolutiva) e quanto, eventualmente, tale evoluzione sia volontaria, fatto sta che in The Island, e ancor più in The Transformers, sono le (seconde) parti esplicitamente bayiane a girare a vuoto, mortificate sì da sceneggiature vieppiù involute e inconcludenti (Cfr., di nuovo, la trilogia dei Pirati verbinskiani) ma palesanti anche segni di cedimento registico; The Island funzionava finché manteneva la sua (inedita, per Bay) impronta “adulta”, si lasciava guardare nella sua svolta ironica ma scricchiolava di brutto dopo la decis(iv)a virata action. Similmente, Transformers dà il meglio di sé finché si atteggia a teen comedy sentimentale, porta più che dignitosamente i suoi abiti fantautoironicatastrofici [Cfr. il parzialmente (in)compreso Independence Day] ma crolla miseramente una volta che Michael Bay si mette a fare Michael Bay, spiattellando l’ipertrofico proliferare effettistico della ILM. L’azione pura, ipervitaminica, überdigitalizzata, in Transformers, funziona poco o niente, è vuota, molto confusa e assai poco epica, con una gemmazione impazzita e incontrollata di inquadrature, movimenti di macchina e ralenti che non solo non sazia l’occhio ma lo sfinisce e lo annoia. Michael Bay ha perso la mano. O ne sta cercando un’altra.