TRACES OF LOVE

Anno Produzione2006

TRAMA

Seoul, 29 giugno 1995, ore 17 e 55. Il Sampoong Department Store, grande centro commerciale composto da due edifici alti cinque piani e profondi altri quattro, collassa su se stesso: perdono la vita 501 persone, 6 risultano disperse e altre 937 ferite. Questo l’evento reale. Nella finzione del film, la bella Min-ju, giovane produttrice televisiva prossima al matrimonio, è tra le vittime. Il suo futuro sposo Hyun-woo, neo-avvocato scampato al disastro per un fuori programma sul lavoro, è devastato dal dolore e tormentato dal senso di colpa per aver spinto Min-ju ad aspettarlo proprio nel caffè sotterraneo dei centro commerciale. Dieci anni dopo, in seguito a un forzato insuccesso professionale culminato in uno scandalo, il padre di Min-ju gli porta un dono inaspettato: il diario in cui la sua promessa sposa aveva progettato nel dettaglio, grazie alle frequenti trasferte di lavoro, il viaggio di nozze che I due avrebbero dovuto fare il mese dopo. Hyun-su si mette in cammino.

RECENSIONI

“Traces of Love”, come indicato dal titolo, è un film sulle tracce d’amore. Tracce - o meglio cicatrici - che un amore sciagurato ha lasciato nell’anima straziata di chi è rimasto. Prossimi al matrimonio ed esemplare coppia modello, Min-ju (Kim Ji-su) e Hyun-woo (Yoo Ji-tae) sono figure ad altissimo potenziale identificatorio: lei è vittima dell’edilizia selvaggia (e corrotta) sviluppatasi con la connivenza delle istituzioni, lui è capro espiatorio del potere statale (e corrotto) che impedisce ai suoi funzionari di fare il loro dovere. Sono due figure di innocenti mortificati nel corpo e nell’anima dalla corruzione dilagante, insomma. Ma la pista critico-ideologica, pur delineata con nettezza, è presto abbandonata in favore di un più generico (e ecumenico) percorso sentimentale-terapeutico. Un itinerario curativo in cui a contare non è tanto l’attribuzione di precise responsabilità civili quanto la capacità individuale di medicare le proprie ferite rimettendosi in cammino, letteralmente e metaforicamente, senza tuttavia rinnegare il valore della memoria (come l’oggetto-diario illustra con inequivocabile puntigliosità). Durante la luna di miele post mortem, Hyun-woo ricuce i pezzi del passato di Min-ju (le telefonate durante le trasferte televisive) con quelli in comune (le escursioni in montagna), sovrapponendo al viaggio reale un simbolico itinerario della memoria che riporta in vita lo spirito dell’amata, l’alone amoroso che la circondava e che continua a far sentire la sua influenza a dieci anni di distanza. Ed è proprio grazie allo sprigionarsi di questa energia sentimentale che, conformemente al “messaggio centrale del diario”, dal deserto del cuore potrà nascere una ricca foresta. Nelle mani di Kim Dae-sung, l’itinerario nuziale tracciato da Min-joo diventa inoltre l’occasione per impaginare nel film le bellezze naturali della Corea, dall’isola sabbiosa di Goujae nell’estremo Sud fino alle boscose Taebaek della provincia settentrionale di Gangwon, passando per Ulsan, Kyungju, Pohang e Uljin, (la parte orientale della penisola). Film a (più) tesi, dunque, questo “Traces of Love”, terza fatica di Kim Dae-sung, già autore dell’apprezzatissimo “Bungee Jumping of Their Own” (2000) e del dramma/action in costume “Blood Rain” (2005). All’impostazione legnosetta e vagamente consolatoria fanno però da contraltare numerose voci in attivo quali la buona credibilità nella resa del disastro (grazie alla sintesi, in computer grafica, delle riprese sul set con un’elaborata miniatura dell’edificio grande un quinto delle dimensioni reali) e l’esuberante alternanza di generi (mélo, catastrofico, legal thriller, road movie e di nuovo mélo). Ma il pregio maggiore del film è senz’altro il mantenimento di una misura stilistica insensibile al variare dei contesti cinematografici: anziché adattare il registro visivo alle convenzioni dei generi attraversati (struggenti primi piani per il mélo; convulsa camera a mano per il catastrofico, montaggio secco per il legal thriller e così via), Kim “congela” il dettato visivo in inquadrature lunghe e fisse (esemplare la sequenza del pianto del padre di Min-joo) o lo “classicizza” con solenni movimenti di macchina adeguatamente sonorizzati (come la lenta carrellata laterale che “trasla” dalla disperazione di Hyun-woo nella cabina telefonica all’apocalisse di macerie). Una fermezza registica che, pur non brillando per originalità, testimonia un ferreo controllo della materia e una sicura padronanza del linguaggio filmico. Calligrafico, leggermente esanime, ma tutto sommato non irricevibile.