Si conclude la quarantaduesima edizione dei Toronto International Film Festival, la prima senza il fondatore Bill Marshall, scomparso il 1mo gennaio di quest’anno, e l’ultima di Piers Handling, direttore e CEO della kermesse dal 1994. Nonostante la riduzione del numero dei film presentati a 255 lungometraggi e 84 corti, circa il 20% in meno rispetto all’edizione 2016, Tiff rimane una maratona anche per i cinefili più incalliti, con proiezioni simultanee su una ventina di schermi che si traducono in una decina di giorni intensissimi. I mostri, reali e metaforici, hanno fatto da padroni, con il leone d’oro The Shape of Water (Guillermo del Toro) in testa alla gara di svariate misure. La vellutata favola adulta del regista messicano trapiantato a Toronto (dove il film è stato girato), è un omaggio al cinema hollywoodiano, con forti richiami a classici come Creature from the Blue Lagoon (Jack Arnold, 1954) e The Little Colonel (David Butler, 1935). Lo segue la commedia nerissima The Death of Stalin (basata sull’omonimo romanzo a fumetti di Fabien Nury e Thierry Robin), con cui Armando Iannucci, creatore di serie fortunatissime come Veep e The Thick of It, ritorna al lungometraggio dopo il successo di In the Loop (2009) e si conferma re indiscusso della satira contemporanea. I mostri sovietici di Iannucci, ispirati al gabinetto di Stalin, impallidiscono di fronte al crimine di Issei Sagawa, omicida e cannibale a piede libero la cui storia vera è trasformata in un’esperienza visiva e auditiva allucinante da Lucien Castaing-Taylor e Véréna Paravel del Sensory Ethnography Laboratory (SEL) dell’università di Harvard. Già autori del formidabile Leviathan (2012), con Caniba gli antropologi si spingono ancora oltre, incollando la macchina da presa al volto del loro soggetto, osservandolo in modo sfiancante, trasformandolo in una barriera di forme, colori e suoni che evocano il suo delitto osceno e disumano senza mai mostrarlo. Esperienza altrettanto avviluppante è anche il primo lungometraggio di Blake Williams, Prototype, che trasforma le immagini dell’uragano che colpì Galveston, in Texas, nel 1900, in un’avventura fantascientifica in 3D. Affondando le radici nella tecnologia precinematica (il film inizia con degli stereogrammi ricostituiti in una sola immagine), Williams ci trasporta nel tempo, viaggiando fra i tubi catodici di Nam June Paik e i macchinari robotici di Godfrey Reggio. Il programma di cinema sperimentale Wavelengths, in cui compaiono Caniba e Prototype, si conferma il fiore all’occhiello del festival, proponendo sempre titoli coraggiosi e avveniristici. Il contingente italiano vi partecipa con il bel Al di là dell’uno di Anna Marziano, meditazione profondissima sulla natura dell’amore nelle sue permutazioni più dolorose, dall’abuso domestico alla semplice lontananza, dalla scomparsa della persona amata all’incapacità di amarne una soltanto. Un viaggio attraverso culture e ambienti senza pregiudizi e prescrizioni, seguendo linee poetiche e pensieri espressi in modo tattile e viscerale. In sintonia con il film di Anna Marziano è anche la delicata storia d’amore raccontata da Naomi Kawase nel suo Radiance, che sposta l’investigazione sul piano della visione, e nel breve documentario Mon Amour, Mon Ami di Adriano Valerio, e forse anche nella ricerca ossessiva raccontata dai fratelli Taviani nel loro elegante adattamento di Una questione privata di Beppe Fenoglio, in cui ritornano al tema della guerra partigiana dopo La notte di San Lorenzo (1982) e il loro primo cortometraggio, San Miniato, luglio ’44 (1954). Se la mostruosità del fascismo deplorata dai Taviani è ritornata tristemente attuale, così anche le questioni postcoloniali evocate da Lucrecia Martel nel suo Zama, in cui distilla l’eredità del colonialismo, la brutalità dei suoi abusi, l’assurdità della sua burocrazia e dello sguardo disumano con cui ha divorato paesi e popoli. Ritornando al lungometraggio dopo quasi un decennio dal meraviglioso La mujer sin cabeza (2008), la grande cineasta argentina Martel dialoga fra passato e presente, alternando situazioni grottesche a immagini truculente, giocando con toni e registri fino all’apocalittico finale. D’ispirazione biblica è anche l’atteso Mother! di Darren Aronofsky, che ripercorre vecchio e nuovo testamento trasformandoli in una sorta di horror il cui impianto narrativo è la classica casa infestata. A proposito di mostri, flirtano con la spinosa questione della pedofilia I love you Daddy di Louis C.K. e (forse?) anche l’imperscrutabile Hannah di Andrea Pallaoro, scegliendo approcci diametralmente opposti per confrontarsi con la possibilità (se non la realtà) di relazioni romantiche proibite. La verve comica di C.K., generalmente affilata come un rasoio, si spegne nelle sue elucubrazioni di natura evidentemente Alleniana, autore a cui sembra quasi fare il verso in varie imbarazzati situazioni. Vivissima è invece quella di James Franco, il cui godibile The Disaster Artist è una lettera d’amore al cinema tanto accorata quanto quella di Guillermo del Toro. Franco trova il suo mostro nel misterioso Tommy Wiseau, regista-produttore-autore del leggendario The Room (2003), film deriso dal pubblico anglofono fino a trasformarlo in oggetto di culto. Reincarnatosi in Wiseau, il cui personaggio è già, di per sé, straripante di personalità, Franco racconta la storia di come questo moderno Dedalo sia arrivato a confezionare The Room senza aver alcun talento o saper nulla del mestiere del cinema. Gli ultimi mostri da segnalare sono quelli sinistramente normali, in cui la famiglia diventa un ambiente pericolosissimo, dalla piacevole commedia nera Under the Tree (Undir trénu), diretta dall’islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, al lento dramma filippino Dark is the Night (Adolfo Alix Jr.). Notevole infine è il ritorno in Norvegia di Joaquin Trier, che dopo l’americano Louder Than Bombs (2015) si cimenta con un thriller soprannaturale, confezionando l’ottimo Thelma, una sorta di rivisitazione in chiave femminista di classici del genere come The Birds (Alfred Hitchcock, 1963), Carrie (Brian De Palma, 1976), e Black Swan (Darren Aronofsky, 2010).