TRAMA
Norvegia. Un barbone viene invitato ad entrare da una bella signora. Un padre divorziato si traveste da Babbo Natale, per recapitare i doni ai figli… cinque christmas tales in una piccola città.
RECENSIONI
Lo strano, il superfluo, lo scarto rispetto al normale. Il punto di visione particolare che rilegge il quotidiano sotto nuova forma. Lemarginazione inevitabile perché si è soli, alla contraddittoria ricerca del contatto con laltro. Leliminazione degli elementi più aspri che, invece di edulcorare, rende più desolato e malinconico il quadro complessivo. Bent Hamer è regista dellassurdo, inteso come chiave per generare ironia e quindi decifrare il reale; regista del Nord, europeo/naturale ma anche interiore: in questo senso ieri la trasposizione del romanzo di Bukowski, Factotum, così come oggi questo lavoro ispirato ai racconti di Levi Henriksen.
Primo film corale di Hamer, che finora ha prediletto il personaggio singolo come base di confronto tra caratteri, Tornando a casa per Natale ribadisce in parte la poetica del norvegese, dallaltra se ne dissocia sensibilmente, prima di tutto per la scelta di focalizzare sul tema. Il Natale, in teoria suonando perfettamente nelle sue corde, è filo conduttore e insieme laccio dei fatti narrati; votandosi a esso, il regista impartisce unequa distribuzione della caratteristiche dei personaggi e delle relative implicazioni sentimentali/sociali. Tutti i segmenti vogliono dire altro e per la prima volta nellautore non si limitano allautonomia narrativa ma evocano concetti, sfiorano archetipi, insomma danno un significato. La separazione e le conseguenze su coniugi e figli; di contro ladulterio e le asprezze che derivano dalla sua difficile condizione; il fallimento esistenziale che porta a diventare clochard; la Guerra e lImmigrazione, con i superstiti dei conflitti nei Balcani a riparare nella pacifica Norvegia; addirittura il confronto tra religioni, che si declina nellincontro bianco protestante/nera musulmana. Se resta evidente e consapevole il gioco tematico sul film natalizio (il Natale è sempre stereotipo, lo sa il regista), come rovescio cè la gabbia dellargomento, il ricondurre tutto allunica matrice, che colpisce la libertà della scrittura cinematografica e impedisce di toccare le consuete vette brillanti (basti pensare allanarchia narrativa nella seconda parte de ll mondo di Horten).
Qui il regista costruisce un'atmosfera vellutata, alternando i suoi tratti caratteristici a una sorta di pilota automatico. E' così che si rischiano facili collegamenti tra i diversi personaggi e scenari (esempio: il desiderio di paternità che si innesta dopo la visione di un parto). Risulta indebolita la resa di alcune situazioni che, nonostante le intuizioni felici (il sesso senile, la rissa di Babbo Natale), raggiungono un risultato troppo allineato e ordinario rispetto al potenziale. Mantenendo le scelte visive delle opere precedenti (la panoramiche innevate come il piano sequenza che apre Horten), il cineasta si eleva soprattutto quando supera il Tema e arriva allallusione, come nella magica ripresa in cui si spegne la stella di Natale. Meno kaurismakiano, più divagante e inclusivo, Bent Hamer gira un bonsai del suo cinema che conferma la centralità della Fine: dietro la commedia incombe la morte, che anche qui si prende un personaggio. Addolcire le durezze per Hamer è solo la premessa alla maggiore di queste, la scomparsa. La pellicola è sempre una certificazione di malinconia rispetto al reale, una presa di coscienza dell'inadeguatezza a vivere la vita.

Nella notte di Natale alcune storie si sfiorano, con cautela, in punta di piedi: basterebbe un contatto appena più deciso per creare una frattura nel continuum spazio-temporale, perché le sette storie del film di Hamer sono in realtà la stessa storia, colta in sette differenti momenti di una possibile evoluzione. Si parte dal primo incontro (i ragazzini sul tetto), si prosegue con il matrimonio (il medico), la nascita di un figlio (la coppia serbo-albanese), il tradimento (la vendetta dellamante delusa), la separazione (il finto Babbo Natale), il declino, a malapena rischiarato da un tenue ritorno di fiamma (il clochard e la signora degli alberi), limpossibile attesa e lattesa dellimpossibile (lanziana coppia). Frammenti di vita amorosa scorrono sui binari dello stereotipo di stagione [matrice comune: lattesa di una (ri)nascita e lo scambio di doni] come il trenino che appare di sfuggita nel corso dellopera e troneggia al termine dei titoli di coda. Lintero film si riflette nel (=è il) giocattolo esposto in vetrina: innocente, ma non innocuo, dai colori vivaci ma colmo di zone dombra, al tempo stesso rassicurante e sconsolato nella sua levigata confezione regalo. E quando sembra che lo spirito del Natale abbia la meglio sulladorabile pessimismo del regista, il flashback che illumina retrospettivamente il prologo rivela una volta di più la bizzarra e crudele dinamica delle umane vicende. Compiere o non compiere un gesto è determinante per stabilire se sarà la pace o la disperazione a prevalere. Non premere un grilletto, non colpire la palla al momento giusto, indossare o meno un capo di abbigliamento, o semplicemente osservare il mondo (il proprio o quello altrui) da un nuovo punto di vista: basta niente per cambiare, o lasciare immutata, lesistenza. E mentre le stelle della terra si spengono, quelle del cielo lanciano bagliori inquietanti e sublimi. Buon Natale, signor Hamer.
