Commedia, Recensione

TOPSY TURVY

Titolo OriginaleTopsy-Turvy
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione1999
Genere
Durata159'

TRAMA

Londra, 1880. La coppia d’oro dell’operetta vittoriana, formata da William Schwenck Gilbert (testi) e Arthur Sullivan (musiche), sembra sul punto di sciogliersi, complici il fallimento dell’ultima commedia, Princess Ida, l’arida vena del poeta e le velleità del compositore. Ma una mostra suggerisce a Gilbert l’idea per una nuova opera…

RECENSIONI

Un sipario dalle tinte pastello, fatto di spettacoli d’incantata frivolezza, si leva e svela i problemi personali, economici, creativi di chi si mette in gioco (sottosopra) senza tregua per rendere visibile agli altri un mondo parallelo e fantastico in cui la finzione diviene realtà e (quando tutto va per il verso giusto – sottosopra, ancora una volta –) vita. Apparentemente solo un affresco di lucente maniera, tutto crinoline e finanziere d’inappuntabile eleganza, TOPSY-TURVY è una squisita rapsodia sull’essenza stessa dell’arte, in cui si (di)mostra che (anche) le filastrocche sceme e le musiche spigliate possono fornire la chiave dell’immortalità: conta solo la magia (scortata dal talento e dal rigore), le classificazioni critiche (alto/basso, culturale/commerciale, serio/comico) non sono che un giochetto vagamente stomachevole. In un film svelto, arguto, schematico e nutrito di fascinosa, geometrica, necessaria inutilità (come le operette realizzate dal duo protagonistico) il soffio brillante e civettuolo che anima ogni personaggio attività gesto sorge come una tempesta dalla rabbia, dal dolore, dalla riconosciuta impotenza al cospetto della vita e dei suoi misteri (dalla morte in giù). Il sorriso si confonde col pianto, segnali inquietanti (la pazzia del padre di Gilbert, il suo difficile rapporto con la moglie e la madre, le colte frustrazioni di Sullivan, i pregiudizi che rovinano la vita di una delle cantanti) percorrono la messinscena armonizzandosi alla perfezione con le prove del Mikado, l’opera e la vita sono livelli convergenti di una fiaba sanguinaria e irresistibile. Dal male (di vivere) può nascere il bene, dalla sofferenza una speranza di gioia estetica(/estatica). Un’opera incantevole, follemente innamorata del teatro [nel teatro (nel cinema)], la cui durata oceanica non è un limite ma una benedizione. Broadbent (doverosa Coppa Volpi a Venezia ’99) giganteggia nei tic e nelle s/manie di Gilbert: il MOULIN ROUGE è decisamente – e fortunatamente – lontano.