Avventura, Azione, Recensione

TOMB RAIDER

Titolo OriginaleTomb Raider
NazioneU.S.A./Gran Bretagna
Anno Produzione2018
Durata118 min
Tratto da videogioco omonimo
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

Londra. Lara non accetta l’idea che il padre Richard, partito anni prima in viaggio, sia morto, e rifiuta di firmare le carte che la renderebbero ereditiera di enormi ricchezze. Quando scopre che la vera professione del padre era quella di archeologo, parte per Hong Kong per mettersi sulle sue tracce.

RECENSIONI

La tipologia umana del fanboy ha una composizione oltremodo affascinante: 52% insofferenza, 33% saccenteria, il rimanente 15 è dato da un polimero di tracotanza, cinismo ed arroganza; per un'insoddisfazione al 100%. Quante volte ancora dovremo sorbirci, nella pizzata post-film XY, ennesimo remake/reboot/sequel/prequel della saga 'storica' o 'intoccabile' (o storica ed intoccabile), le amareggiate e meste considerazioni del paladino autoproclamatosi vox populi: "questo film non si doveva fare dall'inizio", "la classica trovata hollywoodiana per fare cassa", "hanno stravolto il concept originale", "il peggior capitolo della saga", "quello vecchio è tutta un'altra cosa". Sì però intanto sei venuto lo stesso, e hai pure postato come storia Instagram la foto dei biglietti con il pop-corn di fianco. Ebbene quel fanboy ero io. E lo siamo ormai tutti: una collettivizzazione pirandelliana da uno, nessuno e centomila. Perchè, ammettiamolo, l'ingente offerta cinematografica dell'ultimo ventennio, con la mainstreamizzazione di brand (forse) un tempo considerati di nicchia, l'exploitation dei supereroi del fumetto e la febbrile (ed a tratti un po' incosciente) trasposizione di qualsiasi baluardo della pop culture, ha smaliziato lo spettatore di nuova generazione, acuendo il suo criticismo ed abbassandone la soglia di intolleranza. Tutta questa premessa per dire cosa: che il Tomb Rider di Roar Uthaug è un punchball mediatico perfetto per sfogare la frustrazione del nuovo pubblico, pronto a biasimarne presupposti e contenuti. 17 anni dopo il debutto di Angelina Jol...ehm, pardon, Lara Croft su grande schermo, ci si chiedeva se i tempi fossero maturi per proporre un reboot della beniamina 3D più celebre del decennio di plastica. Risposta: no. Il film è brutto? Risposta: ancora, no. L'iter strutturale per una simile operazione è ormai rodato: restyling semantico, ricontestualizzazione generazionale e modificazione della continuity; abbastanza fedele all'originale da evitare il rischio di sommossa dei vecchi fan, innovativa q.b. per cercare nuovi adepti nella fascia teen. La sceneggiatura di Geneva Robertson-Dworet e Alastair Siddons ha un unico obiettivo: dare un fresh start all'eroina da console, togliendole uno strato di polvere di oltre un decennio. Facciamo la conoscenza di una Lara giovane ed inesperta in versione pony express, seppur già veicolante alcuni sprizzi di intraprendenza e skills combattive. Il pretesto per attivare lo switching tra fattorina ad esploratrice temeraria, ce lo dà (come da manuale) la figura paterna: la giovane Croft, scoperti alcuni studi esoterici riguardo una setta occulta in una sperduta isola del Pacifico, decide di partire per una spedizione improvvisata, sulle tracce del padre scomparso anni prima. Trama da minimo sindacale: canovaccio (ab)usato in talmente tante pellicole action, da risultare quasi offensivo; un coniglio dal cilindro si poteva pur tentare di estrarre. Ma, superato il copia-incolla dello screenplay, qualche sorpresa c'è: il ritmo narrativo per esempio, scorre senza intoppi per quasi 120 minuti; una moderata ma apprezzabile escalation di suspence ed avventura PG-14: Indiana Jones style. Plauso temperante anche per il montaggio, che aiuta lo spettatore a disconnettere ogni neurone oltre la soglia minima necessaria, pur risultando accattivante. Encomiabili a tutto tondo scenografia e CGI: il rischio di cartoonizzare a dismisura la saga è stato sventato da una computer grafica credibile e non troppo invasiva. Le suggestive acrobazie ed il funambolismo sono state dosate senza valicare il verosimile. Bravo.

Alicia Vikander è una Lara Croft 2.0, il motto: less sexy, more pumped. L'interpretazione della giovane e promettente attrice svedese risente dell'oneroso contraltare jolieano, ma parliamoci chiaro: seppur qualche ammiccamento in meno, ed un fisico non così prorompente, questa nuova versione risulta ben più fedele al concept originale. Una Lara sballottata, malmenata e tumefatta: raramente si è visto un main character così tartassato; proprio come nel gameplay, l'acheologa barcolla ma non molla, resistendo ad ogni sopruso fallocentrico da cui sembra accerchiata. Massimo rappresentante di questo maschilismo mal celato, Walton Goggins: villain di circostanza, dalla caratterizzazione piuttosto sbiadita. La mimica dell'ex star di The Shield è sufficiente ad innescare l'antipatia del pubblico; in una pellicola, incentrata sul build up della protagonista, possiamo perdonare l'approssimazione semantica degli alti personaggi, ridotti qui a meri vettori scenici. Concludendo, Tomb Raider è un prodotto dalle basse pretese: un'avventura che mira a far rifiorire una datata icona pop, e divertire un pubblico eterogeneo per un paio d'ore. Tutti i pronostici giocavano contro la buona riuscita di una simile mossa di marketing...Ed invece, quello che ne esce è un blockbuster consapevole dei propri limiti strutturali e contenutistici, ma capace di ottimizzare al massimo il desolante presupposto di partenza. Roar Uthaug forse non ruggisce come un leone, ma dimostra una concretezza ed una solidità non da tutti. Vikander magnetica: non ci fa rimpiangere nemmeno un pixel.Per quanto il revisionismo cinematografico sia sempre in voga, sfido ogni fanboy a preferire le prime due trasposizioni a questa (silhouette della Jolie a parte). Per il resto, "quello vecchio è tutta un'altra cosa"...(Video)Ludico.