Commedia, Sala

TOLO TOLO

TRAMA

Pierfrancesco “Checco” Zalone, oberato dai debiti, scappa in Africa per sfuggire ai creditori.

RECENSIONI

Tolo Tolo, più che un film, è un oggetto, e come oggetto è più interessante che bello. Il segreto della comicità di Zalone è noto (o almeno dovrebbe esserlo): la capacità di navigare, in verticale, più livelli di lettura, intercettando diverse tipologie di spettatori. Il suo italiota retrogrado, meschino, omofobo, ingenuamente razzista e maschilista, infatti, non solo si/ci (auto)assolve perché fa ridere ma, per vie traverse, suggerisce una visione del mondo in cui la restituzione della complessità diventa cinismo per poi sconfinare in una sorta di spensierato nichilismo che lascia dubbiosi: ma Checco da che parte sta? In realtà non è mai stato difficile capirlo. Si prenda, in Cado dalle nubi, il contrasto comico tra il leghista interpretato da Marescotti e il solito meridionale macchiettistico interpretato da Zalone: il primo è antipatico, sgradevole, sostanzialmente detestabile, il secondo adorabile (e divertente) nella sua ottusità. Zalone è con Zalone, contro l’adoratore di Alberto da Giussano. Però, Zalone incarna anche tutti gli stereotipi sui meridionali su cui il leghismo ha costruito le sue fortune politiche (prima di convertirsi al nazional-sovranismo). Et voilà, il cortocircuito. La trasversalità che si avvita su se stessa e che finisce per rendere una gag zaloniana divertente sia per il leghista che per l’antileghista (per restare all’esempio di cui sopra).

A onor del vero, questa impostazione vagamente situazionista, di film in film, aveva perso spontaneità e, in un certo senso, di (eccentrica) genuinità, per toccare il nadir con l’ultimo Quo Vado?, più articolato nella sua struttura narrativa e meno eversivo, con tanto di (politicamente) corretta redenzione del personaggio. Tolo Tolo, volendo, è ancora più pensato, fino al programmatico, ma sembra avere le idee chiare. Arriverem(m)o a dire che il primo film diretto da Luca Medici / Checco Zalone è un’operazione. Che inizia ancora prima del film, col Videoclip/Spot “Immigrato”: canzone evidentemente ironica ma, ancora più che in passato, ambigua, in zona-pericolo razzismo. Il pubblico endorsement di Matteo Salvini è stato la prova di questa ambiguità, nel momento in cui l’ex ministro proponeva Zalone come Senatore a Vita, alla faccia dei soliti radical chic di sinistra. Poi è arrivato il film. Che invece è il meno ambiguo dei film “di” Checco Zalone. Il quale getta la maschera e si schiera senza contraddirsi, continuando a giocare con(tro) gli stereotipi e i luoghi comuni, decostruendoli e ridicolizzandoli mentre li fa suoi/nostri, ma inserendo didascalie che non lasciano adito a dubbi. Sono didascalie dislocate a più livelli di lettura/intelligibilità, dall’invito a dare la giusta importanza ai problemi (Checco più preoccupato delle telefonate delle ex mogli che delle esplosioni e delle mitragliate dalle quali sta scappando, insieme a quelli che chiama migranti), all’insorgere dei rigurgiti fascisti nei momenti di difficoltà e (inì)sofferenza, passando per le derive più – giustamente – fiabesche (Tolo Tolo è un film davvero “per tutti”, e allora ben vengano i momenti il problema immigrazione spiegato a mio figlio).
Tornando all’operazione (e al suo senso), quindi: Zalone gira un non-spot che non dice/mostra nulla del film, ma attira al cinema un pubblico eterogeneo, una parte del quale non si aspetta quello che vedrà e rimarrà interdetto, se non addirittura tradito (il vicepresidente del Senato La Russa che definisce Zalone “cugino della Boldrini” e liquida il film come “noioso filmetto di spicciola propaganda”). Non è affare da poco. Comunque la si pensi, si tratta probabilmente dell’unico tipo di cinema impegnato che abbia un senso, perché in grado di intercettare (per sua natura, ma adesso intenzionalmente) il pubblico non già allineato coi contenuti proposti. Volevo scrivere messaggio ma non ce l’ho fatta.

Dedichiamo le ultime considerazioni alla presenza di Paolo Virzì come co-sceneggiatore insieme a Medici/Zalone. Il suo intervento ci sembra molto discreto e, in senso assolutamente buono, umile. Sarebbe stato poco intelligente intervenire su una comicità e un personaggio così strutturati, autosufficienti e funzionanti. Rispetto al passato, però, si nota una costruzione drammatica più solida, alcuni personaggi maggiormente elaborati e complessi (il cinefilo aspirante regista, che finisce per tradire i suoi amici) e, soprattutto, azzardiamo che potrebbe essere di Virzì l’idea di (pre-)chiudere un film che iniziava a girare a vuoto con la scappatoia meta del film nel film. Ricordare agli spettatori in sala che si stratta di Un film di Checco Zalone, infatti, oltre a trovare una via d’uscita a una storia che era difficile concludere rimanendo in equilibrio tra retorica e antiretorica, serve a contestualizzare la leggerezza e gli eventuali eccessi didascalici con cui viene affrontato un tema così importante e attuale come l’immigrazione. Il vero finale, invece, che sfocia nei titoli di coda, è affidato a un filmato/canzonetta finto-infantile che chiosa ribadendo, stavolta senza ambiguità, quale sia la posizione del finto-qualunquista Luca Medici.