TRAMA
Armando è un cittadino benestante di Caracas che paga giovani delle periferie per prostituirsi. L’incontro con Elder segna l’inizio di un possibile cambiamento.
RECENSIONI
Non c'è sesso nell'acquisto di Armando. Egli compra un'esposizione, quella del corpo, che viene solo mostrato, paga la possibilità di guardare. Nell'atto (e nell'atto mancato) di questa prostituzione sui generis è già iscritto il rapporto economico che regol' Desde allá: lo scambio tra denaro e ostentazione di sé, per appagare una scopofilia, è riflesso del contesto della comunità venezuelana, le classi alte osservano la carne dei poveri e così esercitano un potere, eseguono un rapporto di forza, guardano come forma di dominio. All'inizio è un rapporto chiuso e lineare, quello tra Armando e i corpi pagati, secondo una logica di mercato: rapporto che viene aggredito, deformato e spaccato dall'incontro con Elder. Attraverso un gesto di violenza, il ragazzo che colpisce l'uomo per derubarlo, avviene la messa in discussione della certezza capitalista, della legge domanda/offerta: per paradosso colpire è un'azione umana che esce dalla meccanica della compravendita e nulla sarà come prima.
La rottura della situazione definita conduce l'intreccio a un'oscillazione, che gradualmente diventa il motivo intimo del racconto: rapporto commerciale o nascita di un sentimento? Armando continua a pagare Elder, sempre di più, anche 'troppo' uscendo così dalla transazione; Elder ripete il mostrarsi, si spoglia di sua volontà, come nella ripresa davanti al mare: la posizione dello sguardo è centrale, tiene equidistanza, asseconda l'altalena ora verso una direzione ora verso l'opposta. Sulla tela di contrasti elementari (Armando e Elder, l'uomo e il ragazzo, il ricco e il povero) si innesta - forse - la possibilità di una relazione. Il tentativo di essere coppia prova a percorrere le tappe del film sentimentale, con la reciproca iniziazione (al lavoro per Armando, alla famiglia per Elder) culminante nella sequenza della festa che funge da archetipico 'ti presento i miei'.
In una Caracas dalla morale sospesa la violenza è endemica al contesto, data per scontata e dunque fuori campo: mostrato il primo atto violento come svolta dell'intreccio, gli altri sono omessi dall'inquadratura (il pestaggio di Elder, la ferita inferta ad Armando) e mostrate solo le conseguenze, così da portare lo sguardo a depurarsi dal 'fatto' e concentrarsi sul movimento interiore innescato tra i due. Allo stesso tempo, dal piano mentale l'oscillazione precipita sul terreno materiale. Armando viene pugnalato da Elder, e poi accudito, essi si feriscono e guariscono a vicenda in un doppio slancio lesivo/lenitivo, ipotizzano ognuno la cura dell'altro ma in ultimo è un farsi carico sempre segnato dall'aritmetica dello scambio, che tocca l'estremo: come contropartita finale c'è il compiersi di un delitto.
Lorenzo Vigas, seppure al primo lungo, inscena il dominio dei ricchi sui poveri e lo mette in discussione: sulla domanda di base, se c'è uno spazio possibile lasciato al sentimento, costruisce la sua sostanza. La risposta è no. La scelta finale di Armando, denunciare l'amante, non è una rivalsa per l'omicidio del padre ma registrazione del reale, presa d'atto di una situazione, lucida epifania sulla verità: l'interesse non produce un sentimento. Queer movie sconfitto e opera politica, spaccato sul contesto e prova d'attore (la maschera di Castro, il corpo di Luis Silva), film d'esordio e Leone d'oro nell'anno di Gitai, Skolimowski e Sokurov, ma non è colpa sua: pendolo continuo tra economico e drammatico, sentimentale e politico, a volte irrisolto (l'ombra - debole - del padre), è soprattutto un invito a girare la testa e guardare a Sud, rovescio apparente dell'Occidente che in realtà lo riflette da lontano, perché tormentato dagli stessi dubbi, disilluso dalle stesse soluzioni.
La distanza (desde allá: da là, da laggiù) che Armando mantiene con gli oggetti del suo desiderio - i ragazzi che abborda e che non intende toccare - è il riflesso di un atteggiamento che l'uomo ha nei confronti della realtà, nella quale galleggia indifferente. La chiusura sociale, l'isolamento e la carenza d'interesse nei confronti di ciò che lo circonda - la sua casa borghese e la sua ordinaria vita familiare trasudano una rispettabilità parimenti asettica - si rispecchia, stilisticamente, in quell'uso insistito della sfocatura che caratterizza il film da subito, marchiandone l'incipit. Consacrato a un'ossessione, Armando è un uomo solo, fino a quando non incontra Elder: l'aggressione del ragazzo - che, fingendo di accettare il suo invito, lo picchia - costituisce per lui un brutale veicolo a un rapporto diretto, finalmente concreto, con una realtà relazionale. Quando, di questa conoscenza, Armando decida di farne un uso improprio, piegandola a un uso opportunamente utilitaristico, non è dato sapere. Forse fin da subito l'uomo vede in Elder - nella sua irruenza, nella sua violenza - l'arma che cercava, ingaggiando a quel punto un complicato, premeditato, paziente gioco seduttivo: così, nonostante sia rimasto vittima della sua furia, continua a seguirlo, lo cura dopo un pestaggio, gli rimane vicino, ne conquista prima l'affetto, poi la stima. Continuando a disinteressarsi del corpo del giovane, che gli si donerebbe a quel punto, Armando tesse la sottile tela del plagio, costringendo Elder a un gioco psicologico nel quale rentrano i suoi bisogni, materiali e affettivi. Una volta ottenuta l'esposizione pubblica del rapporto - e il conseguente ostracismo nei confronti del ragazzo da parte dei suoi amici e parenti - Armando, condannandolo a un legame ancora più stretto e necessario, induce subdolamente Elder all'omicidio, l'ineluttabile conclusione. Il film conserva il rapporto tra i due (con tutte le implicanti letture: sociali, politiche, economiche, che vengono fin troppo puntualmente segnalate) lontano da decodifiche - rimanendo quella padre-figlio una possibilità di lettura mai esplicitamente dichiarata, ma paventata utilmente per coprire le reali dinamiche in atto, per non svelare le carte dello script - per poi rovesciarlo, rivelando, nel cinico finale, la strumentalizzazione. È proprio in questo aspetto della scrittura (il soggetto è di Vigas e di Guillermo Arriaga, anche produttore), nella resa del processo di trasformazione del carattere, il maggior motivo di interesse di una pellicola che affida il piano visivo a una serie di soluzioni platealmente 'autoriali' e supponenti, e si muove, non sempre con equilibrio, tra un piano di realtà squadernato senza filtri e un elementare livello metaforico. Leone d'oro alla mostra veneziana - verdetto (si aggiunga il premio al film di Pablo Trapero) forse troppo orientato dal punto di vista geografico, e sicuramente generoso in relazione ai meriti effettivi dell'opera (in un cartellone d'alto livello il film avrebbe ottenuto meno attenzione) - è un riconoscimento a un'opera prima che si comprende nell'ottica di una giuria che, capitanata da Alfonso Cuarón, ha evidentemente preferito puntare su nomi nuovi (il palmares ce lo conferma), non ricoperti di allori, dribblando (anche opportunamente) i vecchi maestri presenti in competizione.