Drammatico, Recensione

THELMA & LOUISE

Titolo OriginaleThelma & Louise
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1991
Durata124'

TRAMA

Thelma, casalinga oppressa dal marito, e Louise, cameriera in rotta col fidanzato, partono per un weekend in montagna. La parentesi di relax si trasformerà nella svolta della loro vita.

RECENSIONI

In uno sconfinato territorio di frontiera, due eroi di tutti i giorni, dopo aver commesso un crimine estremo ed estremamente giustificabile, sono costretti a fuggire da tutto e da tutti, a negarsi al passato e al futuro, per intraprendere un cammino di morte che è anche progressivo ritorno alla dimensione più autentica della libertà, della vita: uno scheletro western è alla base di uno dei migliori film di Ridley Scott. La bimba oca e desiderosa di svago e la dura indipendente e sbrigativa sono, malgrado le apparenze, molto simili, anche se non lo sanno: inserite in una tollerabile vita borghese, sentono confusamente che qualcosa deve cambiare. La parentesi di trasgressione si trasforma in una fuga totale, in cui le tensioni narcotizzate dall’universo civile non possono non esplodere. Le amiche non possono più contare su persone un tempo fidate (il marito di Thelma che collabora coi poliziotti), se non provvisoriamente (l’incontro di Louise con il fidanzato), e non sanno creare una situazione di nuova stabilità (l’improbabile parentesi amorosa di Thelma): devono fare affidamento solo su se stesse. Man mano che la fuga procede, lo sgretolamento delle certezze quotidiane porta le ragazze (non così cattive) a inebriarsi di un sogno impossibile (la fuga in Messico), ad assaporare il rischio, il sesso, l’amicizia di sangue, le emozioni meno negoziabili. Intrappolate e costrette alla retromarcia più mortificante, decideranno, paradossalmente coerenti, di scegliere la vita: proseguiranno il loro viaggio verso il Nulla, che è poi un Tutto. Fra on the road, commedia, fiaba nera, grottesco e novella di formazione, deridendo ogni definizione di genere, THELMA & LOUISE è una rilettura ironica e appassionata dei miti della cultura americana e una metafora dell’esistenza umana, in eterno bilico fra il bisogno di certezze e la voglia d’innovazione (alla base di ogni arte, del cinema in maniera particolare); è anche una magnifica prova di autori, nel senso più ampio della parola. Lo script di Callie Khouri non è sempre impeccabile, ma costruisce un solido impianto narrativo, una macchina infernale che si avvia in sordina e, dopo l’omicidio inaugurale, procede inarrestabile e permette alla furia registica di Scott di risplendere appieno: immagini dense, ricche di inventiva, sempre espressive, spesso commoventi (l’inquadratura finale), ritmo indiavolato, attori magici. Infinite le citazioni (ultima in ordine cronologico la foto ricordo di KRAMPACK), indegni di essere citati i remake, dichiarati e non. Qualcuno (chi?) ha avanzato l’ipotesi, fortunatamente sventata, di un sequel.

Un on-the-road al femminile e femminista (come quasi tutte le opere di Ridley Scott, da Alien a Soldato Jane, ma qui il messaggio è prepotentemente diretto), dove la bellezza dei paesaggi e l'accorato commento musicale fanno da controcanto al male di vivere delle due protagoniste ribelli in cerca di felicità. Tremendamente anni settanta, ma con upgrade estetico e muliebre (meno violenza e devianza, più innocenza e diritto d’evasione), dove le figure maschili hanno la stessa consistenza di quelle femminili in vent’anni di b-movie fallocratici. Pennellati con estro e colore, i due caratteri conquistano presto la simpatia del pubblico previa identificazione, mentre la drammaturgia cerca di creare, il più possibile e con successo, delle situazioni divertenti riscaldate da una calda amicizia, per rendere poi altrettanto efficace la tragedia. Scott, a sorpresa viste le prove precedenti di tutt’altro registro, dimostra di conoscere alla perfezione i meccanismi per passare con disinvoltura dalla spensierata leggerezza al dramma, dalla commedia vivace ai tasselli che compongono l’immaginario americano: è particolarmente efficace anche nel dare corpo ai personaggi minori (Brad Pitt lascia il segno come corpo-oggetto) e nel dirigere tutti gli interpreti. Come da tempo non gli succedeva più, riesce a dare uno spessore esistenziale ed autorale ad una pellicola che, in realtà, non esce mai dalle maglie di genere (di più generi: road movie, criminale, di vendetta, buddy-buddy…). È, in fondo, un romanzo di formazione verso la presa di coscienza, fino all’inaspettata chiusura che ha fatto epoca: con un enorme successo di pubblico e critica, il film ha seminato imitazioni. Oscar alla sceneggiatrice Callie Khouri.