TRAMA
La vita di David Spritz conosciuto come “L’uomo delle previsioni”.
RECENSIONI
Dave Spritz si può considerare un uomo arrivato: ha un lavoro come metereologo televisivo molto ben remunerato, un padre premio Pulitzer, una moglie da cui è separato e due figli. Eppure, nonostante gli agi di una vita in discesa, il bilancio di mezza età non è positivo e pende inesorabilmente verso l'infelicità. A ben guardare, infatti, dietro l'apparenza delle tappe sociali compiute al momento giusto, non c'è un solo aspetto della sua esistenza che gli procuri reale soddisfazione. Il lavoro è un "vuoto pneumatico" per cui non sono richiesti particolari talenti, se non telegenia e capacità di muoversi con destrezza davanti a un blue-screen. La ex-moglie lo odia ed è in procinto di risposarsi, la figlia è grassa e indolente, il figlio è in cura da più psicologi, non tutti affidabili, e il padre, dalla personalità schiacciante, si scopre malato di tumore. Per Dave Spritz è arrivato il momento di reagire, di tornare a sorridere, ma la risalita, dopo anni spesi colpevolmente a porsi le domande sbagliate, non sarà facile. Le fiacche premesse di un'ennesima variante al rodato copione della "seconda opportunità", vero e proprio chiodo fisso della cultura americana, si scontrano fortunatamente con una sceneggiatura in grado di evitare retorica e melassa. Steve Conrad imprime infatti alla narrazione un taglio tutt'altro che edificante, riuscendo anche ad evitare di crogiolarsi nella mestizia del perdente. Il protagonista vaga in un limbo di mediocrità che, pur con un filo di speranza dato dalla consapevolezza, resta tale anche dopo la parola fine. Nelle mani di Gore Verbinski, abile professionista della macchina da presa privo di un "tocco" riconoscibile, il brillante copione di Conrad si ammanta di tonalità plumbee e di una regia al servizio del racconto e degli interpreti. Determinante quindi il contributo del cast, in cui si distinguono un Michael Caine carismatico e silente e un Nicolas Cage in perfetta sintonia con l'interiorità del personaggio (basta vedere il contrasto tra lo sguardo di perenne afflizione e il gaudio simulato nelle apparizioni televisive). Efficace l'ambientazione in una Chicago invernale, idoneo contrappunto al gelo degli stati d'animo, valorizzata dalla fotografia livida di Phedon Papamichael, e perfetto il collante delle note reggae in salsa elettronica di Hans Zimmer. Per una volta la commedia ha il coraggio di essere adulta, di sporcarsi le mani toccando temi scabrosi e di cercare il sorriso, perlopiù amaro, senza sbracare nella gag fine a se stessa. Poi, alcuni passaggi sono fin troppo scoperti, come la metafora tra l'imponderabilità delle previsioni del tempo e il caos della vita; così come suona un po' didascalico l'utilizzo ripetuto di arco e frecce per rappresentare la volontà del protagonista di ritrovare un centro. Ma sono elementi perdonabili di quello che si caratterizza come uno dei più incisivi prodotti mainstream sull'altra faccia del sogno americano, quella fatta di grigiore, ordinarietà e frustrazione. A metà strada tra il geniale sarcasmo di "Election" e i luoghi comuni con stile di "American beauty".
Gore Verbinski fa commedie feroci o, almeno, con ingredienti feroci. Qualche volta ha rischiato troppo (l’originale ma precario The Mexican), altre volte ha “sporcato” il classico film per famiglie con ingredienti graffianti (Un Topolino sotto Sfratto, I Pirati dei Caraibi). “L’uomo delle previsioni” è davvero curioso per il mood sottotono (ricorda Lost in Translation), sottolineato dalle musiche elettro-industriali-felpate di Hans Zimmer: lo ha scritto lo Steve Conrad moral/edificante (ma) di talento di Ricordando Hemingway. Verbinski ci mette qualche pizzico inconsulto (lo “zoccolo del cammello” della figlia; la gag del cibo da fast food “subito”) in un mare di malinconia, dominato dall’Io narrante di Cage, che fa da contrappunto ironico ed è, in fondo, il vero autore della pellicola. Nelle ultime prove, bene o male, l’attore interpreta sempre lo stesso personaggio in odor di Frank Capra (vedi The Family Man): qui è alienato come i modi del film, nevrotico, sconsolato. La gente crede di conoscerlo perché appare in Tv, lo ferma per strada e lui, questo, non lo sopporta. È una vittima dell’incomunicabilità e del complesso di inferiorità nei confronti del padre (uno spassosissimo Michael Caine), e alla fine sembra di abitare (anche) una commedia colma di caratteri alla Wes Anderson. Intanto New York è perennemente (allegoricamente) sotto la neve. Una sorta di copia negativa di Pazzi a Beverly Hills.