TRAMA
Un bambino di Seoul viene spedito a vivere con la nonna muta che non ha mai conosciuto. Senza televisione, fast-food e batterie per il suo gioco elettronico si sente perduto e comincia a rendere sempre più difficile la vita alla nonna avanzando pretese irrealizzabili.
RECENSIONI
Il Vecchio e il Bambino
Il cinema da sempre adora le strane coppie, soprattutto quelle male assortite che sembrano lontane anni luce, sia nel fisico che nella conciliabilità caratteriale. In genere sulle reciproche differenze si basano i presupposti di una prevedibile contaminazione. Il film della giovane Lee Jeong-hyang (classe 1964) rientra appieno nel cliché, ma si distingue per il talento visivo e la sensibilità con cui affronta i suoi personaggi (firma anche la sceneggiatura). Si racconta infatti dell’estate trascorsa da un bambino viziato e capriccioso presso la nonna muta e ottantenne. La città tecnologica e la campagna immobile sono i due specchi di un’evoluzione dispari che, lungi dall’estendersi a tutto il paese, ha lasciato ampie frange della popolazione ancora ferme all’inizio del secolo.
Il bambino pensa che la nonna sia una stupida e ha gusti prefabbricati di chiara derivazione pubblicitaria; è il prodotto di un marketing spietato dal vago sapore di vuoto, che promette molto più di quello che è in grado di offrire. La nonna si esprime a gesti, la vecchiaia l’ha resa grinza e curva e affronta con estrema lentezza e serenità i compiti quotidiani. Il film è scandito dal succedersi dei giorni che trascorrono senza che, almeno in apparenza, qualcosa di rilevante accada. I due mondi agli antipodi sembrano impermeabili e si teme per tutta la durata del film un avvicinamento causato dall’incontro ineluttabile con la morte o la sofferenza, scelta ricattatoria a cui spesso gli sceneggiatori attingono per sbloccare situazioni di stallo narrativo. Per fortuna la regista ci risparmia tutto questo e punta sui dettagli, sui cambiamenti impercettibili, segue con cura i gesti, le espressioni. L’affetto non urlato che ne consegue, parimenti alla commozione, ha quindi lo spessore della sincerità. Nonostante poco accada, il contrasto tra i due protagonisti genera curiosità e i tempi lenti non assumono la connotazione di un vezzo autoriale, ma diventano un’esigenza stilistica che si adatta all’interiorità dei personaggi. Indimenticabile l’interpretazione della non attrice Kim Ul-boon che nelle rughe del viso, nella fatica dei movimenti, nella forte espressività della sua presenza scenica, vale da sola la visione del film. In patria “The way home …” ha battuto negli incassi sia “Spider man” che “Il Signore degli anelli”.
