TRAMA
Loretta, una donna separata, manda i suoi due figli in visita dai genitori, con i quali non ha più rapporti da circa quindici anni.
RECENSIONI
Shyamalan si getta nell'affollato agone del mockumentary e lo fa con un'intelligenza e una consapevolezza sconosciute ai suoi colleghi. A cominciare dall'idea di mettere la videocamera tra le mani di una giovanissima, ma talentuosa, aspirante regista, cosa che gli consente di mantenere il fascino realistico da found footage ma di curare una regia che, almeno nelle fasi meno concitate, è appunto una regia e non un insensato traballìo che vorrebbe ricreare l'effetto verità. Qui c'è realismo ma c'è cura per il taglio dell'inquadratura, e lo sguardo, il posizionamento del punto di vista non sono mai casuali. The Visit è insomma, e pienamente, un film di M. Night Shyamalan, riconoscibile anche dal punto di vista visivo e, diciamo, tecnico/stilistico (si fa per capirsi, ché il discorso è ovviamente molto più complesso). Anche. Perché è forse, soprattutto, la struttura del film e la sceneggiatura più nel particolare a riconsegnarci un regista pienamente recuperato alla società civile degli Autori. The Visit consiste in un misurato accumulo di esche narrative, di signs che innescano misteri, suspense e tensione e che convergono verso un plot twist atteso quanto difficile da prevedere nei suoi reali sviluppi. Il tormentato rapporto tra la madre e i nonni e il mistero del 'giorno in cui se ne andò', le ambizioni registiche della ragazza e la sua idiosincrasia per gli specchi, il ricordo del bambino legato al Football, l'ossessione per l'igiene e la sua tendenza a improvvisare rap all'impronta, tutto è destinato a trovare un senso, una collocazione (spesso decisiva). Il che non vuol dire che ogni tessera si incastrerà alla perfezione, ossia senza forzature, ma più semplicemente che il tutto diventerà splendidamente shyamalaniano e/o (ormai) meta-shyamalaniano (si veda il finale di Signs, per chi scrive il capolavoro del regista, vero manifesto teorico/pratico). Con l'onnipresente, spesso illocalizzabile, ironia che serpeggia carsica in tutto la filmografia del regista di Mahe che stavolta affiora decisa e diventa humour schietto, nero e spesso cattivo.
The Visit si inserisce, apparentemente, nel filone horror neoclassico con Paranormal Activities o Insidious (produce Jason Blum). C'è il discorso della tematizzazione dellelemento riprovisivo, del quale si è già detto, e c'è una certa classicità nell'impostazione generale e nelle meccaniche dello spavento cinematografico. Tutto un armamentario di cliché col quale Shy gioca e scherza in maniera ancora più evidente rispetto ai vari Oren Peli, James Wan e Leigh Whannell: il nonno catatonico che entra come un automa nel fienile non è posseduto dal demonio o 'pilotato' dagli alieni ma va a smaltire i pannoloni sporchi. La nonna che cammina come Sadako e irrompe dal basso, nell'inquadratura, urlando e guardando in macchina, non è una strega ma un'anziana affetta da demenza (Sindrome del tramonto). E le sequenze sono 'divertenti' anche se si prescinde dall'aspetto ludico del giocare con le aspettative dello spettatore e coi codici del genere. Divertenti nel senso che ci si trova a ridere dopo e/o durante i momenti di spavento: esemplare, in tal senso, la sequenza dell'inseguimento sotto alla casa, 'paurosamente' ben gestita col dialogo dei punti di vista e con un profilmico volutamente restio a farsi decifrare, e chiusa con la doccia fredda della nonna che si allontana tranquilla, mostrandosi nuda sotto alla gonna strappata, facendo affiorare un sorriso amaro dal retrogusto grottesco. The Visit è, insomma, un film che dialoga con l'hic et nunc dell'horror contemporaneo giocando (con) le stesse armi ma nascondendo la sua anima thriller, è l'ennesima riproposizione autoreferenziale di un Autore ormai cristallizzato, sempre uguale a se stesso e/ma sempre diverso, è un piccolo saggio sulla Paura Cinematografica che ripropone i soliti cliché dopo averli risemantizzati, è un film divertente a tutti i livelli che alterna e mescola suspense, sorprese, brividi, sorrisi, risate, i fratelli Grimm e, per i predisposti, un pizzico di commozione, ed è infine un'ottima prova attoriale, con la giovane DeJonge e la 'vecchia' Deanna Dunagan sugli scudi. In un paio di momenti, va detto, si fatica a capire chi sta filmando e viene il dubbio di una non-si-sa-quanto-voluta metalessi narrativa shyamalaniana, ma al netto di tutto, The Visit è un sacco di cose, tutte mediamente belle.
Dopo aver perso la via in opere in cui portava avanti il suo “credo” in modo urlato, Shyamalan ha l’oculatezza di ripartire da zero, nel piccolo (è produttore, sceneggiatore, regista) e ri-ottenendo il final cut al di fuori del carrozzone hollywoodiano. S’affilia alla casa di produzione Blumhouse che, con il found footage (qui non sgrammaticato: la protagonista aspira a diventare regista) ha fatto la propria fortuna a partire da Paranormal Activity: a Jason Blum ha presentato un prodotto finito che, insieme, hanno “asciugato” di 40’ (togliendo scene che Shyamalan definisce “alla David Lynch”). Un cinema apparentemente diverso che, in realtà, ripropone i suoi infanti in fase cruciale di crescita e un brillante finale shock, che ha l’unica pecca di iscriversi nei codici di genere con la serie di tentati omicidi, anziché perseverare sui piccoli eventi inquietanti e le stranezze indecifrabili precedenti. Abbastanza inedito il suo giocare ambiguamente fra normalità ed eccezionalità: Shyamalan sa, come sempre, far paura attraverso il modo di “vedere” della sua ripresa, ma in questo caso inietta anche il dubbio che le anomalie siano legate solo alla percezione della vecchiaia da parte dei piccoli. Il colpo di scena a seguire è benvenuto e magnifico, ma si poteva anche continuare con il funambolismo sulla tenerezza di uno stato mentale avariato. Bentornato, comunque, ad un autore che riesce finalmente a tirare le fila delle sue fiabe nere come i due protagonisti affrontano, in scene emblematiche, le proprie paure superando traumi e loro esternazioni (lui terrorizzato dai germi, lei non si guarda allo specchio).