TRAMA
Nel giugno del 1942 Luper è prigioniero volontario nell’isola di Sark e infine consegnato ai tedeschi dalle tre sorelle Contumely. E’ poi a Barcellona dove sostiene il matrimonio lesbico della moglie e dell’amante del suo carceriere Stephen Figura e insemina entrambe. Nel 1943 è prigioniero a Torino nell’ascensore della Mole Antonelliana. In seguito è a Venezia, a Palazzo Fortuny, dove uccide un suo carceriere e rifiuta la profferta amorosa del suo vecchio aguzzino Lephrenic. Nel 1944 è a Roma dove reincontra Lephrenic oramai ammalato di cancro, per effetto delle radiazioni dell’uranio, e ne diviene infine l’amante. E’ poi a Budapest, prigioniero nella morgue locale, con gli addetti Daude e Bouille che ivi identificano i corpi e, ove possibile, falsificano le targhette da applicare ai cadaveri per dar modo al diplomatico svedese Raoul Wallenberg di salvare da morte certa molti ebrei. E’ poi prigioniero a Mosca del comandante Kotchef e, oggetto di uno scambio al confine tra Oriente ed Occidente, costretto a narrare 1001 storie per 1001 giorni alla moglie di questi, Alazarin. Nel 2004 a Compton Verney si allestisce una mostra delle 92 valigie sparse per tutto il mondo da Luper: in una cerimonia solenne organizzata dalla fondazione dell’amico Martino Knockavelli viene aperta l’ultima (Suitcase 92 – Luper’s Life): essa contiene 92 oggetti tra cui la pizza di un film che, proiettato, dirà la parola fine sul mistero che aleggia intorno alla figura di Tulse Luper.
RECENSIONI
Tutte Storie
If you leave me can I come with you?
(Tulse Luper. Sark, 1943)
Con la terza parte si chiude la sezione cinematografica del progetto THE TULSE LUPER SUITCASES che, com’è noto, comprende tanti altri lavori paralleli, alcuni già avviati, altri pronti a partire (siti internet, libri, dvd e il gioco online TULSE LUPER JOURNEY ). Stante la particolarità del lavoro (Greenaway afferma che, paradossalmente, quella cinematografica è forse la porzione meno importante dell’intera opera [1]), avendo il sottoscritto ancora in conto una seconda parte da visionare (la seconda, VAUX TO THE SEA, presentata a Berlino), tenendo presente che l’autore insiste nel considerare TTLS come un unico film di sette ore [2] (il 10 settembre al festival di Montreal si è tenuta la prima proiezione integrale) mi esimio per il momento da una trattazione globale della questione, rimandando quest’ultima alla redazione di uno speciale di prossima pubblicazione. Restringiamo dunque il discorso agli episodi visti in questa terza parte: la cosa che balza subito agli occhi, del resto ampiamente anticipata, è che in FROM SARK il personaggio Tulse Luper viene visto molto meno che nei precedenti ed è invece, in molti casi, solo raccontato. Che questa sia una scelta coerente col disegno dell’opera è fatto indiscutibile: che Luper a un certo punto dovesse sparire, che le ipotesi su di lui e le sue gesta dovessero moltiplicarsi e manifestarsi anche in modo contraddittorio, era scritto, per così dire, e questo spiega anche la scomparsa improvvisa del discorso metacinematografico (ma qui si azzarda, occorre vedere la parte seconda) sostituita, mi pare del tutto coerentemente, da un discorso prettamente metaletterario (vedasi la presenza costante di un Martino ridente e iconizzato e la decisiva valigia 89: the typewriter). Va però considerato che, altrettanto indiscutibilmente, il piano del film è stato modificato. Quando parlo di modifiche mi riferisco alla sezione ambientata a Torino, a quella veneziana e romana: di queste sappiamo esistere ampia, dettagliata sceneggiatura (negli episodi visti invece non c’è traccia alcuna di vicende rappresentate) anche se nulla toglie che tali scenari possano appartenere a uno dei tanti progetti paralleli - del resto una trattazione dettagliata era impensabile per un film che doveva durare al massimo otto ore - ; in essi tutto viene raccontato sinteticamente dagli esperti luperiani, facendo ricorso a semplici sovrapposizioni di immagini della Mole Antonelliana con quelle di Tulse nelle vesti di lift per quel che concerne l’episodio torinese, frammenti del corto INTERVALS per quel che concerne Venezia e, narrando del ruolo che Lephrenic ha nell’ispirare a Luper il personaggio di Stourley Kracklite de IL VENTRE DELL’ARCHITETTO, sulle immagini di quest’ultimo per l’episodio romano (di fatto un rapido remix del film del 1987). Altre modifiche ho notato e queste si convertono presto in segnali inequivocabili di problemi di budget (di cui peraltro eravamo a conoscenza), come testimonia l’episodio di Barcellona, risolto in monologhi e dialoghi quasi tutti a macchina fissa. Che la questione TULSE LUPER andasse risolta, e che lo si dovesse fare nella maniera più rapida ed economica, ce lo dice ancora la rinuncia a tutta la parte orientale [addio Kyoto ed Hong Kong e addio anche al dato simmetrico – il film che comincia in un deserto (Utah) e che doveva finire in un deserto (Manciuria)]. Ma queste sono notazioni che confinano con la mera curiosità e che con la valutazione del film hanno davvero poco a che vedere: la terza parte è, strutturalmente parlando, il trionfo del perfetto disegno greenawayano ed è scandita dalle 1001 storie che solo in seguito sapremo essere quelle che Luper è costretto a raccontare alla moglie del carceriere russo Kotchef (e che a un certo punto cominciano a narrare anche dei personaggi già incontrati nella trilogia, in un avvitamento autoreferenziale che prelude al finale). Senza andare troppo a fondo, ché troppi sarebbero i motivi da approfondire per essere contenuti in una scheda festivaliera, mi limito a segnalare alcuni sparsi splendori: Luper che gioca con le palline da tennis e, intingendole in vernice gialla e lanciandole sulla parete di roccia che lo imprigiona a Sark, crea una straordinaria opera astratta con 92 macchie; la prigione-morgue di Budapest in cui i cartellini scritti qualificano tutto, non solo i cadaveri ma anche gli oggetti, in una sorta di scoperta, definitiva spoliazione del dato scenografico e finzionale; soprattutto: l’intero, meraviglioso, assoluto tredicesimo episodio, sontuoso quanto quello di Antwerp, geniale e divertente (piacerà agli amanti del vecchio Peter: La mia è ironia non cinismo, il cinismo è pericoloso mentre l’ironia è indicazione di tolleranza) con le tredici partite psicologiche che Luper gioca col suo carceriere (1) Identificare i pezzi, 2) Il contratto, 3) Rupert e la sirena, 4) Gli alberi da frutto, 5) Famiglie felici, 6) Kotcheff cerca una fortuna, 7) Rispetto del contratto, 8) Provare ad avere un bambino, 9) Il check point della scacchiera, 10) La nipote di Stalin, 11) il nipote di Stalin, 12) Il cane morto, 13) Gioco finale) e che sono un agile compendio greenawayano di rara pregnanza. Emerge, nella complessità e nell’ansia onnicomprensiva dell’autore, una sorprendente leggerezza e un divertimento che passa attraverso una difficoltà di lettura che si supera con scioltezza mediante la ripetuta visione dell’opera (3). Peter Greenaway non si smentisce e senza alcun timore di un’emarginazione di cui si sentiva pesantemente l’odore nelle ore veneziane in cui il suo progetto veniva presentato, serafico afferma: Non importa che piaccia o meno: il cinema sta cambiando. Noi gli crediamo: le storie, anche se ci si ostina a non volerlo vedere, l’autore le racconta solo nei suoi film. In TTLS ce ne racconta, eccome.
Una domanda a Peter Greenaway
LP - Ciò che trovo più ammirevole del suo progetto è il fatto che lei in TTLS non scenda a nessun tipo di compromesso e non sia in alcun modo concessivo nei confronti delle ordinarie convenzioni narrative. In ANTWERP Tulse Luper afferma: ”La leggibilità è sospetta, chi scrive in modo leggibile vuole essere letto”, questa volontà di rimanere puri, di non accettare compromessi con la facile leggibilità evidentemente costituisce un rischio: lei lo ha considerato?
Conosce quella frase famosa di Brecht? Brecht ha suggerito che la maggior parte del pubblico quando va a teatro lascia il cervello nell’anticamera con il cappotto. Lo stesso vale per il cinema attuale che richiede un denominatore comune molto basso di esperienza: alla fin fine i film che vediamo contengono una serie di proposte che conosciamo tutti e in questa familiarità io trovo una mancanza di fantasia e una gran pigrizia. I successi al botteghino continuano ad essere film tratti da libri, sono testi: cose concepite in termini letterari non possono essere convertite soddisfacentemente in termini di immagine. Si dice che il traduttore è sempre qualcuno che tradisce, la traduzione è un negoziato che scompiglia l’originale e questo rimane un dato di fatto non soltanto in termini linguistici. Già in letteratura siamo costretti ad accettare tutti questi compromessi, ma perché accettarli anche a livello cinematografico? Con i primi 109 anni di cinema abbiamo creato qualcosa che è letterario e non è basato sulle immagini, il cinema ortodosso non è immaginistico e utilizza solo un piccolo spicchio dello spettro di comunicazione che il mezzo offre. Non posso andare con qualche stampa, delle incisioni o qualche pittura da un produttore e chiedere soldi, lo studio e il produttore vogliono vedere un testo. Godard ha detto: una volta che avete i soldi, che avete giocato il gioco della sceneggiatura, buttatela perché dovete fare un film, non un testo.
[1] Una volta si diceva: se ti piace il film poi compra la maglietta; io vi sto dicendo che la maglietta è più importante del film, sto utilizzando il cinema per pubblicizzare un altro prodotto.
[2] Non ho fatto una trilogia, ho fatto un film lungo sedici puntate.
[3] A tal proposito: dubito fortemente in una distribuzione nelle sale della seconda e terza parte di TTLS. Greenaway, da parte sua, ha annunciato l’uscita del dvd integrale del film: vista la pessima resa in pellicola (l’orrida versione vista nelle sale italiane di THE MOAB STORY) non c’è molto da rimpiangere: se THE TULSE LUPER SUITCASES è “l’ambizioso tentativo del regista di entrare nell’Era Digitale”, allora sarà bene adeguarsi e guardarselo nel proprio lettore casalingo, al massimo delle sue potenzialità visive.
Il DVD è stato inventato per me, un supporto di elevata qualità, con possibilità enciclopediche. E’ anche un’occasione eccezionale di dialogo: voi sapete che fino ad oggi il cinema è stato un monologo, si va in sala, ci si siede e non si ha nessuna corrispondenza diretta con il regista o con quello che succede sullo schermo… Noi invece abbiamo puntato su un prodotto che andasse oltre le sale, il Dvd, e che potesse essere fruito anche online.
