Criminale, Recensione

THE TOWN

Titolo OriginaleThe Town
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2010
Genere
Durata116'
Tratto dadal romanzo di Chuck Hogan
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Doug Mc Cray è a capo di una spietata banda di rapinatori di Charlestown, un quartiere di Boston: dopo una rapina, durante la quale il suo complice Jem ha preso per breve tempo in ostaggio la dirigente di banca Claire, avendo scoperto che anch’ella vive nello stesso quartiere e potrebbe aver visto troppo, Doug decide di conoscerla e indagare.

RECENSIONI

Al suo secondo lungometraggio, dopo l'imperfetto Gone baby gone, Affleck dimostra un'apprezzabile chiarezza di idee e costruisce un solido dramma criminale di cui Boston non costituisce solo l'ambientazione ma, come da titolo, un vero e proprio personaggio. Il regista afferma di essersi ispirato a Gomorra e in effetti la volontà di rendere, pur tra le pieghe del poliziesco e le increspature thriller, un affresco urbano pregnante è piuttosto evidente (la didascalia iniziale ci avverte subito che in questa città si verifica quasi una rapina in banca al giorno). Il regista, che non disdegna la voce fuori campo per la descrizione della situazione (il quartiere di Charlestown come concentrato di violenza inaudita, quartier generale dei professionisti del crimine, attività che si trasferisce di padre in figlio), mostra da subito un discreto piglio con la bella sequenza iniziale della rapina, di un'efficacia replicata in tutti i casi in cui risulta necessario descrivere i raid della banda protagonista, risultando molto convincente nel registro del puro action, senza perdersi in vuoti rocambolismi e prodezze, e mantenendo, d'altro canto, il film attaccato ad una storia che funziona sempre anche sul piano drammatico.Se nella descrizione delle situazioni umane il riferimento sembra la consistenza classica di un Eastwood (già tenuto d'occhio nel suo precedente) e, d'altra parte, stante il retrogusto noir, sembra non estraneo al film un fondo tragico che fa pensare a James Gray, sul piano dell'azione, a parte l'immancabile Heat (si veda la rapina finale allo stadio, con grande sfoggio di artiglieria pesante, vera apoteosi verso la quale tutta la seconda parte sembra tendere; anche la scelta delle location originali e di comparse del luogo, il lavoro di ricostruzione delle dinamiche delinquenziali e del gergo utilizzato negli ambienti ritratti, secondo il verbo realista, ricordano Mann), certa rutilanza e la forte carica immedesimativa dell'azione evocano a tratti la Bigelow.

Al di là del gioco dei riferimenti e degli occhi strizzati, il film di Affleck ha comunque dalla sua, oltre alla sobria messa in scena e a un parco attori di sicura efficacia (a cominciare dall'ottimo Renner - l'eccezione se vogliamo è proprio Affleck, interprete legnoso da sempre -), anche l'incisiva fotografia di Robert Elswit e una scrittura molto attenta nel descrivere le vicende parallele del bandito 'diverso' Doug con la sua banda criminale e quella dello stesso con Claire, che da possibile scomoda testimone si trasforma in una passione amorosa. La vicinanza della ragazza, con la quale Doug vive una storia su cui aleggia un silenzio pesante, fa emergere la vera natura del protagonista, un criminale che non ama la violenza gratuita e il cui percorso di vita, con un punto dolente che viene a piena chiarificazione solo alla fine, sembra averlo portato a fare il fuorilegge per una mera fatalità. L'amore di Claire diviene l'elemento salvifico, ciò che può definitivamente allontanarlo dal suo passato e da quella città che ha segnato così profondamente il suo destino, anche se le implicazioni sono troppe (tradire i compagni, spezzare un patto malavitoso) e abbandonare il crimine appare, ad un tratto, pericoloso per l'incolumità della donna. Scatta dunque un meccanismo di ineluttabilità per il quale più Doug cerca alternative alla sua vita di criminale, più va a scompaginare delicati equilibri, risvolto che aumenta il carico drammatico, ma che, dopo l'inevitabile rottura dell'idillio, seguita alla rivelazione alla donna della sua reale identità, non condurrà comunque la tragedia alle estreme conseguenze.
Anche se, come ha detto Giulio Sangiorgio in chiusura di visione, 'bisognerebbe sempre diffidare di un noir che finisce bene', The town, tratto da un romanzo di Chuck Hogan e imprevisto successo al botteghino statunitense, è un lavoro in cui il Ben Affleck regista appare visibilmente maturato, che riesce a tenere saldamente in mano tutti gli elementi in gioco, che non perde di vista le relazioni tra i personaggi, operando bene sull'ambiguità dei ruoli, in cui i traumi del passato sono visibili da subito e decrittati al momento opportuno senza agnizioni clamorose e spudorate, in cui gli evergreen Violenza & Inganno hanno il giusto peso, senza sopravanzare le dinamiche delle fragili istanze umane, il delicato intreccio tra i tormenti esistenziali e passionali dei protagonisti, dei loro complicati rapporti.
E bravo Ben.

La Boston di Gone Baby Gone ha portato fortuna al percorso registico dell’attore Ben Affleck: in questo caso subentra a progetto già iniziato, sostituendo Adrian Lyne e riscrivendo la sceneggiatura. Da Dennis Lehane, passa allo scrittore Chuck Hogan di “Il principe dei ladri”, premio Hammett nel 2005 (di cui viene modificato il finale, giudicato troppo cupo) ma la città ha le stesse coordinate, fra traumi d’infanzia, spaccati sul sottobosco metropolitano, caratteri a tutto tondo. Tramite Lehane, Affleck rifletteva sul senso della Vita con tracce da tragedia greca restituite in modo sin troppo “spettacolare”; Hogan gli permette di abitare un film di genere ben orchestrato nell’azione copiosa, soprattutto nelle elettrizzanti sequenze di rapina (tre, contraddistinte dalle differenti, pittoresche maschere che la banda indossa, fra teschi alla Iron Maiden, suore incartapecorite e poliziotti). Più che al noir della precedente opera, il regista guarda ai drammi criminali/romantici anni trenta e settanta (ha dichiarato che la scena dell’inseguimento fra automobili ha come nume tutelare John Frankenheimer), dove l’eroe era il ladro-e-gentiluomo con cuore che batte per la bella, attorniato da compagni più violenti da tenere a bada, con un antagonista (nel caso, l’agente Fbi di John Hamm) umanamente peggiore e il topos dell’inesaudibile desiderio di cambiare vita (ma la Città non lo permette). Stride qualcosa solo in alcuni dialoghi, complice in parte il doppiaggio nostrano, effettistici e affettati, quasi a cercare le enfasi artificiose della Hollywood classica, ottenendo, però, un effetto che cozza con il taglio realistico e violento.