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TRAMA
Diciassette frammenti in cui, seguendo traiettorie confuse, evocando ricordi distorti e documentando i massacri recenti, emerge una riflessione, che mescola il documentario e la sperimentazione, sull’arretratezza della democrazia thailandese. La testimonianza della violenza presente si sovrappone alla rimozione delle sanguinarie azioni di repressione del passato; in uno stratificarsi di cancellazione e ricordo, per tutti coloro che cercano un’espressione libera non rimane che un’accusa comune: terroristi. (Dal catalogo del Tff)_x000D_
RECENSIONI
Terzo lungometraggio di un talentuoso protegé di Weerasethakul, The terrorists apre le danze con un incipit estasiante, graduale immersione nella notte thailandese, pregna di misteri e turbamenti sessuali. Le prime scene, quadri notturni di pesca ed estrazione del caucciù, richiamano le sublimi performance di cinema da lavoro di Wang Bing, ma sembrano agitate da un erotismo conturbante e ctonio, ombra e ossessione di spoglie videoarty. Si arriva ad una prima pacificazione zen solo più tardi, con l'ipnotica passeggiata tra gli acquari, tanto iridiscente da levare il fiato (per inciso: una delle immagini più memorabili dell'ultima mietitura berlinese, dove il film è stato presentato prima del passaggio al Tff). Dopodiché un monaco, da un frammento di docu-metraggio anni '70, equipara l'esecuzione dei comunisti all'uccisione di pesci, e la metafora iniziale si svela così lampante, drammatica, gonfia di dolore. Per chi crede nelle dittature, uccidere dissidenti politici è nell'ordine delle cose: non c'è colpa, sono solo terroristi. I pesci, cantava Cobain, non hanno sentimenti. Proprio un proverbio thailandese, d'origine buddhista e probabilmente inviso agli anti-specisti, metteva in guardia dal confondere uomini e pesci, rifiutando l'equipollenza etica del loro martirio. Un detto divenuto quantomai attuale nella primavera 2010, nemmeno due anni fa, quando decine di uomini vennero uccisi come animali. Diffamati come terroristi, combattevano per la libertà. Erano le camicie rosse, thailandesi che protestavano contro la corruzione di Stato, reclamando giustizia sociale, cadendo morti o feriti nelle piazze roride di sangue.
Insieme alle immagini del massacro della Thammasat University, nel '76, il monito non può che uscirne rincarato: la Storia continuerà a rigenerarsi nel suo girone di violenze, se non ne cambiamo il corso. Da lì si torna alla guerriglia urbana di due anni fa, catturando, MiniDv alla mano, décadrages d'attualità, testimonianze grezze e frementi di una pagina nerissima e già dimenticata, rimossa a tempo record dai media occidentali. L'appassionato instant-movie di Pansittivorakul si divincola così tra più linguaggi senza ridursi a nessuna forma codificata, altalenando tra docu-saggio, cinema di poesia e diario enragé, legando alla documentazione delle proteste il suo stesso vissuto d'esiliato, raccontando di quando fu costretto ad abbandonare la capitale in tenera età, insieme alla madre. Proprio a quest'ultima indirizza una lettera in voce off, disegnando un dialogo immaginario su memorie private prima che pubbliche, sepolte dall'eterno ritorno di bugie e violenze di Stato. Perchè in Thailandia, come nel resto del mondo, di uroborico è rimasta solo l'amnesia - politica, sociale, umana. Nel film-diario di Thunska, è il desiderio omoerotico ad assumere una viva connotazione rivoluzionaria, insopprimibile atto di resistenza sessuale contro la repressione politica, dove masturbazioni e amplessi suonano come rabbiosi vessilli di libertà contro la persecuzione di Stato e i rigidi codici censori (un'insubordinazione a cui Thunska non è certo nuovo, come provato da This Area is Under Quarantine, bandito in patria nel 2008). Nello sviluppo delle sue premesse, però, The terrorists finisce per farsi progressivamente più ingenuo e datato, virando da un'intima forma d'agit-prop a più abusati narcisismi predicatori, trovando il suo estenuante culmine nella scena della lunga masturbazione finale, commentata, in voce off, con la cronaca della demonizzazione operata dall'estrema destra nei confronti del movimento di piazza. L'esibito e urticante contrasto tra immagine e voce, tra vita e morte, è dei più banali e didascalici, ma partecipa coerentemente al radicale squilibrio di un'opera personale e liberissima, languida e ariosa, da recuperare in dvd grazie all'interesse (e al coraggio) distributivo di Queerframe.
