TRAMA
Fionnan è ossessionato dai preparativi per il matrimonio con Ruth, così la fidanzata obbliga il testimone a organizzargli un addio al celibato che lo distragga. Al weekend però si aggrega il fratello di Ruth, il famigerato The Machine, personaggio inarrestabile che trascina il gruppo di amici in una serie infinita di guai.
RECENSIONI
“Stag” è la versione britannica dell'addio al celibato e di solito sottintende non una sola notte di bagordi ma un weekend o una minivacanza per il futuro sposo e i suoi compari; “stag” è anche il termine per indicare il cervo maschio. Il titolo allude così a una notte, o meglio a un fine settimana da leoni in cui i protagonisti si imbarcano, ma anche al mattatore assoluto della commedia, il maschio alfa per eccellenza The Machine, summa imbarazzante e impassibile di tutti i machismi e gli atteggiamenti da spaccone mai concepiti da mente maschile. Intruso portatore di forza bruta e invincibilità alla Chuck Norris all'interno di un gruppo di uomini colti, miti e prudenti fino alla noia, il personaggio interpretato dal dublinese Peter MacDonald (qui anche cosceneggiatore) diventa il deus ex machina di un'avventura goliardica in mezzo ai boschi irlandesi che scuoterà le esistenze e le dinamiche relazionali di tutti i partecipanti. Opera prima senza pretese, la commedia di Butler parte da un presupposto che riecheggia le notti da leoni statunitensi, ma è intrisa di humour sapido e costruita su meccanismi perfettamente oliati: nonostante le disavventure dei ragazzoni prevedano corse a chiappe nude sotto l'effetto di stupefacenti e sospensori fatti di frasche, non si scade nel becero grazie anche a un gruppo di interpreti azzeccatissimi. Con un materiale di partenza esiguo (gruppo di amici affiatato ma disseminato di altarini nascosti e presto disseppelliti dall'irruenza di un elemento estraneo) ogni interprete lascia il segno con tempi comici infallibili, dal tormentato testimone dello sposo Andrew Scott (il Moriarty dello Sherlock televisivo) a Brian Gleeson (figlio del grande Brendan), passando per il petulante promesso sposo Hugh O' Conor e per il debordante Peter MacDonald. In modo un po' incongruo, la spruzzata di spirito fieramente irish e l'amore incondizionato per Bono & Co. (che prevede scambi di battute come “non mi piacciono gli U2” “Sei sicuro di essere irlandese?”) si traducono nel (lietissimo) finale in un monologo di orgoglio nazionalista ad alto tasso di commozione; fuori luogo, ma perdonabile.