THE OLD GARDEN

Anno Produzione2006

TRAMA

Hyun-woo, militante socialista della protesta studentesca culminata nella Sollevazione di Kwangju, esce dal carcere dopo sedici anni e otto mesi. Il reintegro nella società civile è estremamente doloroso: la famiglia non riesce a risvegliare i suoi affetti, gli amici di una volta sono diventati degli estranei e la donna che lo ha protetto durante l’anno di clandestinità precedente all’incarcerazione è morta di cancro. Un passato pieno di vita e un presente disertato dagli affetti si accavallano senza dargli tregua.

RECENSIONI

“Affiorate nella cosiddetta “primavera di Seoul”, le nuove aspirazioni, tuttavia, furono soffocate nel maggio 1980 dagli esponenti più duri del regime militare sotto la guida del generale Chun Doo Hwan, che, nel dicembre 1979, poco dopo la morte di Park Chung Hee, aveva condotto un altro colpo di stato, imponendo la completa applicazione della legge marziale e arrestando molti leader dissidenti e attivisti sindacali, tra cui Kim Dae Jung, vecchio capo dell’opposizione e attuale presidente della Corea del Sud. Dopo il suo arresto, il 18 maggio gli studenti universitari e i cittadini, in violazione della legge marziale, parteciparono a dimostrazioni su larga scala a Kwangju, costata quasi 200 vite (secondo fonti ufficiali governative) e numerosi dispersi […] Per di più, le profonde ferite e il ricordo del massacro di Kwangju erano, e sono, ancora troppo dolorose per molti coreani, anche se il governo di Kim Dae Jung, nel 1998, ha condonato la condanna all’ergastolo comminata a Chun per i suoi crimini.”, Hyangjin Lee, Il cinema coreano contemporaneo. Identità, cultura e politica, O barra O, Milano, 2006, pp.90-91.
Il lungo ed estenuante brano tratto dal libro di Hyangjin Lee è assolutamente indispensabile per collocare la vicenda di Hyun-woo in un tessuto culturale e politico che altrimenti rischierebbe di sfuggire allo spettatore italiano. Non si tratta soltanto di apprendere alcune nozioni di storia coreana contemporanea, ma soprattutto di costruire attorno al testo filmico un contesto culturale, quello degli anni ’80 (ma non solo), caratterizzato da un’atmosfera politica tremendamente opprimente e da un’incontenibile esigenza di liberazione e rivendicazione dei diritti civili incarnata dalle forze più giovani e vitali della società. In questo senso The Old Garden si ricollega direttamente al primo piano sull’omicidio del generale Park Chung Hee di The President’s Last Bang, rappresentandone una sorta di sequel non ufficiale o possibile spin-off, e indirettamente ai ritratti di giovani irrequieti di Girls’ Night Out e di Tears, costituendone invece una sorta di antefatto doloroso o premessa occultata. La vocazione intertestuale dell’ultimo film di Im Sang-soo non si ferma qui: in un passaggio saliente della narrazione Han Yoon-hee, la protagonista femminile, si gira verso la mdp e interpellando visivamente lo spettatore dice che un personaggio con cui lei ha appena terminato una relazione (e verso il quale ha avuto un atteggiamento tra il severo e il protettivo) diventerà un procuratore legale impegnato in cause di diritti civili. Il personaggio in questione è Young-jak, il protagonista maschile di A Good Lawyer’s WifeThe Old Garden mostra insomma l’intenzione di “compattare” l’universo di Im in un macrotesto cinematografico organico e coerente, fitto di rimandi e fili sotterranei capaci di generare suggestivi echi semantici e fertili sovrapposizioni tematiche. Quella che a prima vista potrebbe sembrare una filmografia all’insegna dell’eclettismo e della eterogeneità stilistica (una commedia sexy, un film generazionale in digitale, un affresco graffiante sulla disintegrazione della famiglia borghese, un tambureggiante thriller politico e uno straziante mélo sulla fine degli ideali) si rivela invece un’opera fortemente coesa, un corpus attraversato da tensioni sociali e curvature ideologiche di profonda omogeneità.
The Old Garden è un film molto ambizioso, insomma, e fin qui niente di male. Anzi, l’ambizione (soprattutto quando è sproporzionata) è sintomo di un cinema che gode di ottima salute: ben vengano film prossimi al delirio di onnipotenza, testimoniano la vitalità dell’ambiente culturale che li alimenta. Non è quindi la spiccata autoreferenzialità ad appesantire The Old Garden o addirittura a inficiarne la tenuta estetica, quanto l’esagerazione dei toni patetici, l’eccesso di lirismo e l’inflazione metaforica che finiscono per dare vita a un’antologia di calligrafismi palesemente sfasati. Pare infatti che l’intenzione di centrare ininterrottamente l’immagine stupefacente sovrasti la composizione: lo scrupolo estetizzante prende il posto della trasfigurazione estetica, la stilizzazione dello stile. A forza di sovraccaricare l’immagine Im sbaglia quasi tutto: salvo la protagonista femminile (la sensazionale Ji Jin-hee, capace di tramutare la bellezza in vulnerabilità con una facilità sconcertante), le sequenze che degenerano nella sensiblerie patinata, nell’immaginario languido da spot pubblicitario sono davvero troppe. Qualche esempio: la rievocazione del massacro di Kwangju a un anno di distanza si trasforma in liquoroso rimpianto elegiaco (nobilitato però da un campo lunghissimo “amplificatorio”), i raccordi cronologici si incastrano con una legnosità imbarazzante (mi è venuto in mente l’Özpetek de La finestra di fronte, giuro) e una telefonata alla figlia ritrovata si eleva in una sublimazione sentimentale da giostra di luna-park. Ma quello che non ci si aspetta affatto è la grossolanità delle sequenze degli scontri tra polizia e studenti. E invece è proprio qui che Im dà il peggio di sé: otturatore veloce, sovrimpressioni confusionistiche e fiamme digitali incredibilmente inverosimili. La televisità imperversa, insomma. Da chi ha girato tra le più entusiasmanti e arrembanti sequenze di azione del cinema coreano (in The President’s Last Bang ovviamente) è davvero una cocente delusione. Attenzione al finale, è tra le cose più ostentatamente weird che sia dato vedere: ci sono i fiocchi di neve ovattata, una piramide di vetro, un ritratto di famiglia di dimensioni imbarazzanti che viene scambiato con la stessa disinvoltura di una fototessera, nonché un fantasma.