Animazione, Recensione

THE LEGO MOVIE

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2014
Durata100'
Interpreti
Fotografia

TRAMA

Nel mondo dei Lego il mago Vitruvius viene accecato dal malvagio Lord Business mentre tenta di proteggere la super arma Kragle. C’è però una profezia secondo la quale uno “Speciale” troverà il Pezzo Forte in grado di fermare il Kragle. Alla fine spuntano i Lego Duplo ma in mezzo c’è tanta, tanta confusione.

RECENSIONI

C'è del buono. L'idea di mimare l'animazione scattosa dello stop motion, ad esempio, restituisce l'ambivalenza del mondo Lego: antico e analogico quasi per antonomasia ma nondimeno proiettato nel qui e ora dell'intrattenimento (video)ludico, col mattoncino che fa sentire la sua presenza materica negli interstizi del digitale. Ok. E non mancano gli sprazzi di humour intelligente anche se sostanzialmente incomprensibile per l'ipotetico pubblico d'elezione (i bambini, com'è appena il caso di ricordare). E, per chi si accontenta, c'è il pistolotto matrix-iano sull'omologazione, sulla vita non-vissuta, sul potere della fantasia e del pensiero laterale. Ma insomma.

The Lego Movie è, in ultima istanza, un mattone. Cento minuti reali (centoventi circa quelli percepiti) in cui poche gag veramente riuscite e alcune ordinate sequenze action si trascinano in una narrazione poco presente a se stessa. La voglia, infatti, di distanziarsi autoironicamente dalla materia trattata raffredda lo sviluppo drammatico e la storia, ingarbugliata, priva di un innesco focalizzabile e scevra di un vero interesse di stampo non parodico e/o metaestetico, finisce per perdere consistenza (e, tout court, senso). Almeno fino alla svolta/agnizione. Che, volendo, complica la faccenda ancora di più, rendendo il tutto meno comprensibile e (internamente) coerente. Da un lato, infatti, la mancanza (o eccessiva “fantasiosità”) dei nessi causa-effetto diventa in qualche modo spiegabile e imputabile all’immaginazione-a-ruota-libera di un bambino al lavoro/gioco. Dall’altro, però, diventa ancora meno giustificata l’eccessiva didascalia del messaggio di fondo, così come la scelta del protagonista anonimo e omologato, il pistolotto sulle istruzioni e, di nuovo, il tipo di comicità che, salvo rare eccezioni, non ha niente di infantile.

Non si può non accennare al fatto che, comunque, anche l’impianto prettamente umoristico del film è stato ampiamente sperimentato e sedimentato in quasi dieci anni di trasposizioni cinematografiche in campo videogiocoso a opera di TT Games, da Lego Star Wars a Il signore degli anelli fino a Pirati dei Caraibi passando per Harry Potter. Uno humour certo intelligente, spesso gustosissimo, simpaticamente  confinato nelle cutscene tra una fase di gioco e l’altra, ora trasposto nel film con ottima approssimazione ma che, dunque, può davvero stupire e “intrattenere” solo chi non ha mai (video)giocato a nessuno degli episodi citati.

Infine, un dubbio. Data per scontata la natura autoriflessiva, autoironica e meta-qualcosa del film inquadrato, diciamo, nel suo complesso, non si può non notare una grande contraddizione, accettabile solo in termini di feroce autocritica non-si-sa-quanto consapevole. L'invito a 'non seguire le istruzioni', a liberare la creatività, a giocare/assemblare liberamente, si scontra contro la realtà dell'hic et nunc del mondo LegoCostruzioni. Ad eccezione degli sparuti set 'base', il resto del mondo Lego è andato verso l'iperspecializzazione oltranzista, con microcomponenti che, di fatto, sono utilizzabili solo 'a rigor di istruzioni'. Detto in altri termini, i 793 pezzi del Quartier generale di difesa Dino acquistano senso solo seguendo pedissequamente le dettagliate istruzioni del Quartier generale di difesa Dino al fine di ottenere esattamente il Quartier generale di difesa Dino. Lasciate un bambino da solo con i 793 pezzi di cui sopra, privatelo delle istruzioni e otterrete un bambino confuso, annoiato e, nella peggiore delle ipotesi, pericolosamente frustrato.

Intuizione e realizzazione geniali. Intuizione: replicare il mondo materico dei lego, immaginando un universo fatto esclusivamente di mattoni-giocattolo. Realizzazione: restituirlo con un digitale che imiti o inglobi il passo uno e non possa fare a meno del 3D per completare la meraviglia di scenari barocchi, dove tutto è fatto di plastica sovrapposta. I registi dell’altrettanto ingegnoso (ma non altrettanto esteticamente sorprendente) Piovono Polpette, attraverso la Animal Logic (che aveva fatto i primi esperimenti con un corto televisivo, The Lego Star Wars), esaudiscono il desiderio infantile di dare un volto credibile, a suon di dollari, all’universo dei mattoni danesi (il nome viene da leg godit, gioca bene), dove l’immaginazione è da sempre al potere, data la mera parvenza di ciò che dovrebbero rappresentare: la loro peculiarità, infatti, è la possibilità di scomporsi e incastrarsi per edificare qualsiasi cosa. Il racconto, a seguire, ha la buona idea di inscenare lo scontro fra “cattivi” che vogliono ordine e regole, e creativi con mastri costruttori che, dal nulla, ricavano astronavi e moto volanti. A parte qualche gag gustosa e la simpatica presenza di supereroi DC Comics e da Star Wars (la casa di produzione Warner Bros ne detiene i diritti), purtroppo la sceneggiatura ha solo un altro merito, quello di diventare “meta” nel finale, rivelando il deus-ex-machina di Legolandia, con attori in live action. Per il resto, infatti, fra temi, morale e personaggi, regna il risaputo: il nerd eroe suo malgrado che troverà la forza dentro di sé, il cattivo e la sua spalla, la bella da conquistare. Peccato: per mancanza di spunti originali, non prende corpo un mattone indimenticabile del cinema d’animazione. La resa visiva è strabiliante: tolgono il fiato soprattutto le scene a campo lungo e il tempo necessario a cogliere ogni dettaglio.