Drammatico, Recensione

THE HUMBLING

Titolo OriginaleThe Humbling
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2014
Durata112'
Tratto dada L'umiliazione di Philip Roth
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Simon Axler è uno dei più grandi attori teatrali della sua generazione, ma ora è sulla via del tramonto. Ha superato i sessant’anni e ha perso il suo talento e la sua sicurezza. La moglie l’ha lasciato e così anche il pubblico, mentre il suo agente non sa come convincerlo a tornare in scena. Ma proprio nel vortice dell’autodistruzione, Simon trova momentanea consolazione nella passione per una giovane donna.

RECENSIONI

Nelle parallele e spesso sconfortanti derive attoriali dei mostri sacri DeNiro e Pacino degli ultimi 15 anni, un nome ricorre, legato ai pochi ruoli significativi affrontati: quello di Barry Levinson. Il suo sodalizio con Pacino è una garanzia: dopo Donnie Brasco, Phil Spector (entrambi prodotti da Levinson) e You Don't Know Jack (da lui anche diretto), con The Humbling gli cuce addosso un ritratto d'attore istrionico e autoironico, un gioco al massacro su se stesso e la propria icona. Con la complicità di un terzo vecchio leone, il Buck Henry che sceneggiò Il laureato, stravolge L’umiliazione di Philip Roth per farne una sorta di Disastro a Hollywood col teatro al posto del cinema e un ingobbito, malandato Pacino al posto di DeNiro: il mondo dello spettacolo come coacervo di ipocrisie e isterie, specchio della vita interiore di un uomo un tempo glorioso e ora alle prese con il suo declino. Il dramma è virato in grottesco, in commedia allucinata e caricaturale: Pacino sguazza nella trasparenza di un ruolo che gli consente una mise en abyme impietosa eppure narcisistica sulla sua statura d'attore. La storia fra Simon e la giovane, parassitaria Pegeen è l'incontro mortifero e morboso fra due maschere: la donna che si trasforma da lesbica grunge a etero bon ton con due giri di shopping, l'uomo acciaccato dall'età che si finge amante focoso, in un gioco di ruolo esponenziale e, infine, fuori controllo. Sul concetto di "gioco" e di "ruolo" Pacino e Levinson imbastiscono il loro complice ghigno d'autore: il palcoscenico, come il cinema, non è che la cassa di risonanza della mediocrità e della piccolezza di chi si mette in scena, e confondere l'arte con la vita è un rischio che, come nella bella sequenza iniziale, fa scambiare la star per un accattone. Un dramma dell'egoismo e del possesso, dell'identità e del desiderio (della sua morte, soprattutto) che prende così la forma di una commedia feroce, a tratti soave, spesso compiaciuta e altrettanto spesso irresistibile.