TRAMA
Bill è un poeta che con gli ultimi pochi dollari a disposizione cerca di aprire un chiosco ambulante che venda cibo di qualità. In questa impresa è aiutato da un improbabile gruppo di amici e clienti. (dal catalogo del Festival)
RECENSIONI
Un uomo, la sua idea per sopravvivere. Sviluppo, delusione, rinascita. Paul Gordon, cineasta di Austin (terra del SXSW) all'opus n°2: struttura narrativa canonica e usurata, idea portante (anti junk-food) ben inserita nell'elenco questioni e problemi di tendenza, personaggi archetipici, obiettivo usuale: sogno americano. Eppure The happy poet sabota, educatamente, le proprie premesse: un'ironia goffa, impacciata, sincera, in armonia con la personalità del protagonista, dona un ritmo eccentrico alla narrazione, la passione vegetariana è una semplice idea di marketing, i personaggi si tingono di una complessità minimalista, il sogno dell'eroe è coronato da un happy end così posticcio da risultare ambiguo. Dice l'autore: "Mi sono reso conto che la storia di Bill e del chiosco ambulante era molto simile a quello che avevamo passato per realizzare il film precedente – (Motorcycle, ndr)- . Bill vuole servire cibo di qualità a un prezzo ragionevole, io volevo servire un film di qualità a un prezzo ragionevole. Gli amici si sono lanciati nell’impresa affinché il film si realizzasse, proprio come hanno fatto quelli di Bill": una dichiarazione che sa di onesto autobiografismo trasfigurato, sostenuta dai toni di un mumblecore stralunato che, frequentemente, pare vicino al mockumentary. Un piccolo film, pudico, intelligentemente furbetto in superficie (potrebbe con faciloneria essere eletto a manifesto di un certo cinema indipendente, di una certa visione del mondo, di un certo modo di nutrirsi, quando sotterraneamente l'autore cerca di non farsi ingabbiare da queste strette maglie). Dimenticabile, ma gradevole.