TRAMA
Xiao Hong, la celebre scrittrice, visse i periodi più turbolenti della Cina contemporanea. Il suo allontanamento dal padre la indusse a intraprendere una lunga ricerca di una vita soddisfacente a livello emotivo. La donna fu salvata dalla povertà dallo scrittore Xiao Jun, ma il loro rapporto competitivo le causò più angoscia che gioia. Mentre fuggiva dall’invasione giapponese, Xiao Hong sposò il romanziere Duanmu Hongliang e si rifugiò assieme a lui a Hong Kong, che sarebbe poi stata conquistata dai giapponesi. Xiao Hong morì di tubercolosi a 31 anni (dal pressbook).
RECENSIONI
E’ la mia età dell’oro e la sto trascorrendo in gabbia.
Tante gabbie rinchiudono Xiao Hong: gli uomini, il regime, la Storia. Ann Hui, dopo A simple life, dipinge ancora un ritratto di donna rovesciandone la premessa (lì una domestica qualunque, qui una delle maggiori scrittrici nazionali) ma confermandone lapprodo: lultima stazione è sempre la Morte, dopo un percorso che porta alla sua introiezione. La complessità della vita di Xiao (unadeguata Wei Tang) comprende almeno tre uomini, una fuga dal matrimonio imposto, un figlio abbandonato e laltro defunto: seppure attraversi la Cina del primo 900, come laltro film è una vicenda umana più che politica. I personaggi coinvolti guardano in camera, parlano allo spettatore raccontando Xiao, i rispettivi destini e futuri, disegnando ognuno il frammento che li riguarda, lincrocio con la scrittrice: questa frontalità spezza il flusso narrativo, provoca una pausa nel racconto e ne puntualizza i nodi, con lobiettivo sia di definire le varie figure (con tanto di didascalie), sia di ordinare lintreccio a rischio ipertrofia. Xiao è il centro, i personaggi si propagano da essa come una sfera: così il racconto si apre alluniversale, su sfondo Novecento, mantenendo centrale la singolarità della donna che - però - rispecchia inevitabilmente la pelle di un paese. Il loro riverberarsi è evidente nella sequenza del matrimonio: il discorso di Xiao si risolve in negativo, essa è troppo onesta e dice la verità su ununione combinata, così come la negazione dellopportunità di scelta, la resa alla convenienza è il filo rosso del secolo cinese.
E’ maggio di nuovo. La miseria della mia vita ha il sapore di un’albicocca verde.
Il risultato è molto controverso. Lambiziosa opera/mondo, possibile miniserie, è un biopic idealmente infinito che costruisce momenti riusciti: Xiao che, per scrivere la fine di un amore, si spegne la sigaretta sul braccio; alcuni volti secondari, come il maestro e mentore Lu Xun, figura stoica che aspetta tranquillamente la morte (e torna ancora A simple life); la ripresa lunare di Xiao incinta che cade sul pontile, viene quindi sorretta da un soldato azzoppato dalla guerra, producendo una sintesi dellincontro tra lUomo e la Storia, in un simbolico buio della civiltà. Ann Hui, su sceneggiatura di Li Qiang, percorre una drammaturgia a tratti fluida e sequestrante, a tratti più meccanica e automatica (i cambiamenti politici subiti dai protagonisti) se non perfino esplicita e dimostrativa (la violenza domestica pesantemente sottolineata dalla ferita di Xiao). Da parte loro i narratori a volte dicono tutto, sottolineando i punti chiave della scrittrice, riducendo il mistero della sua vita. Il film funziona a tratti, per lampi anche folgoranti, tentando un viaggio nel primo 900 dallo sguardo dellautrice (ciò che vede, lo trasformerà in letteratura) che si chiude in flashback sul fiume Hulan, indietro verso linfanzia per realizzare lavvenuto scorrere delle stagioni e di sé stessa. Biografia esagerata e suicida, che non conosce concisione, The golden era fallisce ma si dibatte, restando oggetto unico e fuori luogo nella medietà complessiva del Festival di Venezia 2014.
