Recensione, Thriller

THE GIFT

Titolo OriginaleThe Gift
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2000
Genere
Durata111'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

In una piccola citta’ degli Stati Uniti, una giovane sensitiva aiuta la polizia a ricercare una ragazza misteriosamente scomparsa.

RECENSIONI

Una giovane vedova, che vive con i tre figli in una piccola contea degli Stati Uniti, ha un dono particolare: riesce attraverso la lettura delle carte, abbinata a premonizioni visive, a prevedere gli eventi. Come in tanti film del genere "thriller soprannaturale", questa non comune dote viene messa al servizio di una storia gialla in cui c'è un delitto e un assassino da scoprire e lo scioglimento finale passa attraverso la ricostruzione del puzzle visivo delle poco rassicuranti visioni. Bandita ogni originalità nella trama, la solida sceneggiatura costruisce un bel personaggio femminile che grazie all'intensa interpretazione di Cate Blanchett (la cosa migliore del film) risulta vivo e vibrante. La regia, però, predilige tempi lenti che, se da una parte aiutano ad entrare nella psicologia dei personaggi, dall'altra smorzano la presunta tensione donando allo spettatore lo stesso "gift" della protagonista: la capacità di capire cosa succederà e in che modo. Anche le oniriche visioni rivelatrici sono "telefonate" con largo anticipo e solo in poche sequenze risultano davvero efficaci. Resta una malinconica atmosfera da piccola provincia con poche opportunità - in cui le vite degli abitanti sembrano ricoperte da una patina di onesta infelicità - e un buon cast di supporto. Divertente Keanu Reeves in versione "molto cattivo", anche se il doppiaggio da speaker radiofonico accentua la sua monolitica espressività.

Come apertura della nuova stagione cinematografica, arriva ad infestare le sale un thriller venato da una sana spruzzata di horror. Sam Raimi raccoglie le sue dirette ascendenze da serie televisive come "MillenniuM" o "Profiler", per modellare una storia tetra come una notte senza luna. Raramente ho visto un cast di attori così ben assortito: c'è la recitazione misurata ma illuminante di Cate Blanchett, indubbiamente la migliore, le smorfie rabbiose di Keanu Reeves, che gioca ancora a fare il cattivo dopo "The Watcher", l'ossessione nevrotica di Hilary Swank, la follia allo stato puro di un grandioso Giovanni Ribisi, ovvero quando la malattia mentale si trasferisce sullo schermo. Piuttosto incolore è invece la breve esibizione di Katie Holmes, mentre un gradino sopra a lei si piazza Greg Kinnear, che in generale fa un pò troppo occhioni per i miei gusti. Che non sia facile modellare una pellicola del genere è ormai ampiamente appurato, soprattutto se si lancia uno sguardo alle modeste fortune che hanno riscosso le ultime uscite del filone. Leggendo la trama in due righe, sembra che Raimi alzi letteralmente le mani, arrendendosi alle valanghe di "topoi" di cui il cinema dell'orrore da troppo tempo non riesce a liberarsi; infatti la storia è troppo classica (medium & polizia contro assassino) per suscitare fino in fondo l'interesse dello spettatore. Però c'è qualcosa nell'insieme che piace, che gira per il verso giusto; il film va inteso in maniera particolare. Al di là della trama, che in alcuni casi è davvero povera, devono essere apprezzate le ambientazioni grondanti cupezza e l'atmosfera che si viene a creare. Qui si riconosce pienamente il regista a tinte fosche che aveva firmato "La Casa" e l'apprezzabile "Darkman"; il sogno e la realtà si mescolano in un'enigmatica sarabanda, finché le visioni della protagonista Annie Wilson diventano difficili da distinguere rispetto al piano reale della vicenda. Inoltre, c'è la suggestione emanata dalla cittadina di Brixton, circondata da una fittissima aurea malefica; ogni personaggio è infelice nella sua piccola, terribile quotidianità. Ognuno nasconde il suo scheletro nell'armadio, celato da una patina di apparente normalità; non a caso la mia personale palma di scena migliore viene assegnata al rogo del signor Cole, operato dal figlio Buddy, in preda ad una devastante esplosione di pazzia. Il bello è che il suo stato ossessivo suscita nella platea addirittura una certa simpatia; il suo squilibrio, che deriva da un inenarrabile dolore del suo passato, riesce a farcelo assolvere. I meriti vanno ricercati in una sceneggiatura molto buona in alcuni tratti. Sicuramente non nel finale, dove Raimi si smarrisce; probabilmente il padre fondatore dell'horror contemporaneo aveva imbastito un plot troppo usuale per poter garantire un colpo di coda conclusivo che non fosse stato piatto e scontato. Qui lo spettatore può fare la conta ed individuare senza ombra di dubbio movente ed identità del colpevole, compreso il carattere illusorio dell'ultima visione di Annie. Che le facoltà della medium si siano magicamente trasmesse fino allo spettatore durante la proiezione? Scherzi a parte, tutto questo sottrae punti al globale, insieme ad una lunga sequenza processuale piuttosto fuori luogo, con tanto di avvocato antipatico come il demonio incluso nel prezzo. "The Gift" vanta alcuni spunti interessanti, anche se sicuramente non in sede di stesura del soggetto; Raimi conferma tutta la sua espressività visionaria, ma accantona per l'occasione ogni forma di originalità, condannando lo sfarzoso cast al limbo delle occasioni sprecate.