Drammatico

THE END OF THE TOUR

Titolo OriginaleThe End of the Tour
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata106'
Sceneggiatura
Tratto dada Although of Course You End Up Becoming Yourself di David Lipsky
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nell’inverno del 1996 il giornalista David Lipsky, della rivista Rolling Stone, viene inviato a intervistare lo scrittore David Foster Wallace che sta per terminare il tour promozionale del suo libro Infinite Jest.

RECENSIONI

David Foster Wallace (non mi dilungherò sulla sua figura: ne ho scritto a proposito dell'unico film tratto da una sua opera letteraria) è uno scrittore in irrefrenabile ascesa: è il 1996 e il suo Infinite Jest si è imposto come un libro di culto istantaneo; di più: è stato immediatamente recepito dalla critica letteraria come romanzo capitale. Il tour promozionale lo vede, insomma, come un autore che deve gestire un successo ampio quanto imprevisto: è a questo punto che avviene l'incontro con David Lipsky. Il giornalista di Rolling Stone decide di seguire Wallace per cinque giorni (tra reading, presentazioni, interviste radiofoniche, lezioni di scrittura creativa) e intervistarlo. The end of the tour, fondandosi sulla constatazione di questo rapporto, finisce con l'essere da un lato il film sulla frustrazione di uno scrittore mediocre al confronto con un gigante, dall'altro la parabola sul fiuto di un giornalista che, valutata la potenzialità della storia (il successivo suicidio di Wallace ne centuplicherà il già notevole appeal: fu allora che i nastri originali si trasformarono, con indelicato tempismo, in un reportage), si muove ambiguamente tra due istinti: farsi amico un genio e sfruttarlo. È curioso che l'opera esca a breve distanza da Life di Anton Corbijn che, al netto delle inevitabili differenze, parla grosso modo della stessa cosa: l'avidità della cronaca che, intuendolo, aggredisce un mito nascente; il reporter che usa le armi della seduzione umana per appropriarsi di un'epica nel suo farsi, ne eterna l'esperienza di avvicinamento, vive della sua luce riflessa. Mentre il film di Corbijn, avendo come protagonista un fotografo al lavoro sull'icona James Dean, gestisce ogni considerazione e sviscera ogni aspetto su un piano prettamente visivo (è un lavoro, in questo senso, di sconvolgente finezza), James Ponsoldt, trattandosi di letteratura, punta tutto sull'anticinematografica parola, fidando sulla sottile tensione creata dalla dialettica instauratasi tra i due protagonisti e puntando sulla resa di elementi minimi, dettagli quotidiani, situazioni ordinarie, quasi banali. E in questo senso il film è impegnato nella costruzione di un punto di vista: quello di Lipsky, un consapevole avvoltoio (basta la disinvoltura con la quale apre lo scaffale del bagno dello scrittore, controllandone i medicinali, a disegnarlo come l'opportunista che è). Il Wallace che vediamo, dunque, è quello ricostruito dal giornalista, seconda la sua prospettiva utilitaristica: quindi un uomo impegnato innanzitutto a tutelare se stesso; che ha nella sua ipersensibilità un corpo molle, esposto alle lusinghe di una persona con un obiettivo preciso; un animo fragile che non può che sottrarsi alle domande che lambiscono zone pericolose (l'aprirsi dei baratri di incomunicabilità, l'istintiva ritrosia di fronte a certi argomenti sono splendidamente resi da Jason Segel, perfetto nel ruolo dello scrittore).
The end of the tour, quindi, non si presenta né come un biopic, né tantomeno come un'agiografica celebrazione, ma - come Life - si propone come sottile indagine del modo equivoco in cui un personaggio gestisce il rapporto con un artista e di come si giostra tra le sue contraddittorie pulsioni a riguardo: non il ritratto di uno scrittore, ma l'autoritratto di un giornalista e della sua insoddisfazione, dipinto guardando altrove, a quel traguardo irraggiungibile che è l'arte del suo interlocutore.