TRAMA
Le vite di due abitanti di un piccolo villaggio della costa malese colpito da una misteriosa epidemia dopo una grande inondazione. Yu Ding si guadagna da vivere provocando piccoli incidenti stradali e poi facendosi pagare il soccorso dai malcapitati viaggiatori. Il pescatore Ah Ngau, invece, ritorna dal mare dopo giorni di assenza e scopre che nel frattempo sua moglie è morta; viene messo in quarantena e, alla fine di questa, si trasferisce nella città vicina dove incontra una prostituta che risveglia in lui il desiderio sessuale (dal catalogo).
RECENSIONI
Tsai-nami
The Elephant and the Sea, secondo lungometraggio del giovanissimo Woo Ming-Jin, sin dalle prime battute appare come una copia in carta carbone dell'illustre connazionale Tsai Ming-Liang, copia perdipiù infradiciata dall'arrivo di uno tsunami.
Se infatti Woo si discosta dal suo modello almeno da un punto di vista cromatico sostituendone il distintivo livido azzurro con una tonalità dominante ocra, ne ricalca peculiari elementi stilistici come la dilatazione temporale delle scene, i lunghi silenzi, il vagare indeterminato dei personaggi, fin quasi a sfiorare il plagio (come nelle sequenze in cui il protagonista per un'allergia alimentare* si trascina ciondolante come Lee Kang-Sheng colpito dai reumatismi ne "Il Fiume"; o l'inquadratura della prostituta sdraiata sul letto nella stessa posa della porno-attrice de Il Gusto dell'Anguria ma senza l'anguria).
Tuttavia Woo, privo del formidabile immaginario visionario di Tsai, coerente con la sorprendente mancanza di originalità che ha contraddistinto il Concorso del TFF, muove stancamente le fila della narrazione esattamente come i suoi personaggi le loro esistenze devastate, li imprigiona nella routine visiva senza mai riuscire a sublimarne i malesseri e le solitudini, e quando azzarda il guizzo "autoriale" (alla maniera di Tsai, s'intende) lo fa con disinvolte e gratuite acrobazie narrative (come il bambino che mangia nella gabbia-trappola costruita per catturare animali rari; o l'apparizione di un elefante in una radura [probabilmente il regista si era accorto che doveva assolutamente inserire un elefante in un film che aveva deciso di chiamare "L'elefante e il mare"]) tanto più fastidiose perché maliziosamente posizionate alla fine della pellicola all'evidente scopo di raccogliere il consenso dello spettatore dal palato facile.
Se non altro ci troviamo di fronte un regista con un'idea di cinema (anche se solo l'idea, e neanche sua).
* uno dei pochi elementi concettualmente rilevanti: il pescatore allergico al pesce come metafora dell'uomo di mare traumatizzato dallo tsunami.
