Drammatico, Recensione

THE DINNER

Titolo OriginaleThe Dinner
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata120'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo La cena di Herman Koch
Fotografia

TRAMA

Due fratelli legati da rapporti difficili si incontrano a cena con le rispettive mogli per parlare di una questione molto delicata.

RECENSIONI

The dinner è il nuovo adattamento cinematografico di un romanzo olandese di notevole successo. Un libro caustico che rivolge uno sguardo impietoso alla società, valido a diverse latitudini. Il film potrebbe essere altrettanto distruttivo. Al centro due fratelli, due coppie, che insieme non fanno una famiglia. E una cena che li mette a confronto. Un fratello è persuasivo, benestante, celebre; candidato Governatore, tutte le donne si innamorano di lui. L’altro è disturbato e problematico, forse erede dei problemi psichici materni. Geloso dell’affetto della madre da ragazzino, che a suo avviso preferiva il fratello.  Si sente escluso anche dal rapporto che la moglie ha con il figlio. Risulta inerme ed incapace di reazione di fronte alle azioni del figlio ed al rischio di dissoluzione che pende sul suo nucleo famigliare, a fronte di una moglie che prende in mano le redini di tutto. Non riesce neppure a conquistare l’attenzione dei suoi alunni, a coinvolgerli nelle lezioni di storia da lui impartite. Dirà che la storia è finita, che non può competere con le nuove tecnologie, ma è la sua ennesima sconfitta. Anche se il fratello lo ha sostenuto nei suoi momenti più neri, gli porta solo rancore. Da questo dualismo, che si arricchisce con le due diversissime consorti, origina il rito di questa cena, partita da premesse pessime, fuori luogo, mal riuscita messa in scena di una civiltà ed un confronto costruttivo che nessuna speranza ha di realizzarsi. Come nel libro, molto insistita è la descrizione della cornice culinaria del cruciale incontro. I titoli di testa mostrano scene gastronomiche e sfarzose apparecchiature, Come per i capitoli del romanzo, appaiono in sovrimpressione i nomi delle portate. Presto si lega il tutto al fastidio del fratello riottoso per un ristorante esclusivo, da prenotare con largo anticipo, che riserva un trattamento di favore al senatore. Si fa “food art”: si illustrano cibi bizzarri ma soprattutto pretenziosi, introdotti con descrizione tanto ridondante da sfiorare il ridicolo.

Il personaggio di Coogan contesta il posto prima ancora di andarci, con quello che sembra il rifiuto di un mondo. Il costo della bottiglia è “immorale” - verrà poi da pensare ad azioni più immorali da coprire - viene definito addirittura “un atto di guerra”. L’uomo si dichiara “il guerriero delle classi inferiori” - anche questo si vedrà. Un commensale, dunque, già sa di star male con le persone che incontrerà, le chiama addirittura scimmie e brinda a finire la serata sani e salvi. La coesistenza in un luogo chiuso, trattenuti a tavola quasi senza via di fuga, rappresenta un detonatore che puntualmente esploderà. La sceneggiatura dispone d’altra parte alcune evasioni dalla prigione dorata del ristorante. Da subito vengono mostrate sequenze con ragazzini che fumano, bevono e ascoltano musica che stordisce in un locale. A volte si sente una voce over, spesso si rivedono flashback da un passato burrascoso. La divagazione su Gettysburg in particolare si fa prendere un po’ la mano (una metafora ridondante?). La lezione durante la quale il protagonista chiede di interrogarsi sulle persone che in tutta onestà sarebbe meglio fossero morte è da un lato troppo esplicita, dall’altro fuori fuoco (la senzatetto non dava fastidio a nessuno). Poche digressioni appaiono effettivamente funzionali alla comprensione dei caratteri. La presentazione dei piatti esasperatamente ricercati rimane slegata dal resto del materiale filmico, se non come insistita metafora: tutta la bella apparecchiatura futile della vita può crollare per un evento irreversibile. Quel che resta, come vera sostanza, è un bel po’ di Carnage e la conferma dell’impossibilità di dialogo in una riunione famigliare avvelenata dai rancori del passato e dall’incapacità di spostare l’asse della propria prospettiva. Non si ammorbidisce l’astio di uno dei fratelli per l’altro, non si riconquista un confronto, non si intravede un percorso di presa di coscienza e redenzione per i ragazzi. Il personaggio principale si rivela mostruoso, il figlio che ha assistito alla sua violenza mostra una chiara predisposizione ad essa. Il film, in tutto questo, non convince molto, in parte per gli errori citati, in parte perché l’origine psichiatrica della condotta di Coogan depotenzia molti degli stimoli alla riflessione. Assunzione di responsabilità, espiazione, perdono, ideologie si perdono un po’ tra le smanie dei quattro attori. Ne I nostri ragazzi di Ivano De Matteo, precedente adattamento italiano del romanzo, la struttura era più lineare e la contrapposizione tra le due coppie di natura più palesemente politica. The dinner è invece un ibrido un po’ confuso e debole, in cui i momenti riusciti si perdono tra le scivolate.