TRAMA
Una spedizione si prepara per ritrovare (quel che resta) delle ragazze scomparse. Ritroviamo anche Sarah, sopravvissuta incredibilmente alle creature del sottosuolo.
RECENSIONI
Guardando The Descent 2 sorge il dubbio che John Harris abbia voluto trattare la materia del capitolo precedente con fare ludico e approssimazione ironica. Scelta presumibilmente consapevole soprattutto se collegata ad uno script che cerca di rinvigorire un personaggio (Sarah) la cui evoluzione sembrava del tutto compiuta. Non si capisce allora il perché di riproporre la protagonista secondo dei parametri abusati e prevedibili. Non vi è alcuna giustificazione nel trovarla viva e con il deficit della memoria, a parte quella di delineare un pretesto per proseguire comodamente le avventure tra le Appalachian Mountains. La questione però non si limita allo sbrigativo innesco a monte, quasi si trattasse del tipico sequel realizzato per lo più da esigenze produttive, dal momento che le ferragginose dinamiche, le macchiette dei personaggi (tra i quali spicca lo pseudo - romeriano sceriffo) e le scelte tecnico-espressive sono costruite intorno allo svuotamento (calcolato?) del nocciolo tematico del The Descent originale. I sottotesti di natura psicanalitica (tentativo inconscio di rielaborazione del lutto e vendetta mediante lirruzione del metafisico e lutilizzo della violenza) come la convincente verve femminile (discretamente approfondita) e il gusto estetico (impatti cromatici, convulso chiaroscuro, claustrofobico dinamismo dello spazio) vengono sostituiti in maniera brutale, decongestionati da una soffocante parodia di certi clichè tipici del genere accumulati senza cognizione di causa. I fastidiosi flashback che riproducono gli inconvenienti dellopera di Marshall ripristinano la memoria di Sarah oramai trasformata in uneroina da avventura dinamica, i tanto sfruttati dispositivi meta- invece di esplorare il mistero e diventare surplus di percezione calamitano il pericolo (a tratti comicamente), il dungeon acquista sicurezza per mezzo di uninspiegabile luce biancastra che facilita i punti di riferimento (stranamente solo per lo spettatore), la deriva splatter, a suo tempo di crudezza manieristica , sfuma nella grossolanità fino a identificare il lago di fanghiglia (luogo dove Sarah si scontrò con una delle creature di sesso femminile in un ulteriore step per liberarsi dal peso del lutto) con la latrina personale della comunità di ominidi. Lappiattimento è delirante, sostenuto da uno sguardo sciatto che si adagia infermo su un collettivo di partecipanti al luna park del linciaggio privi di una funzione propria, a parte la figura di Elen sulla quale Sarah proietterà, portando a compimento, il mancato ruolo di madre.
Nel tumulto generale gli snodi narrativi ci regaleranno in un tempo ristretto un numero incalcolabile di colpi di scena (forzatura, anche questa, parodica?) fino a far riemergere dai cunicoli la traditrice Juno, pronta ad uno scontro (prima) e ad una riappacificazione (poi) con la protagonista. Non resta, per portare a compimento il florilegio di luoghi comuni, che sottolineare laltruistico sacrificio finale.
Non saprei se convenga considerare il caotico e insistito gioco con lhorror una scelta calcolata dal sapore di bravata adolescenziale. Quello che conta è che The Descent 2 sia un film brutto.
Non cè redenzione per questo tipo di cause, anche fossero spinte da buoni propositi. Forse lautore ne è conscio, valutando lennesimo colpo di scena in prossimità dei titoli di coda: una deriva di carattere sociale mancava, giusto metterla finché si è in tempo

Il maggior pregio di The Descent – discesa nelle tenebre, di Neil Marshall, era quello di raccontare una storia horror (sei ragazze perdute nei meandri del sottosuolo alla mercé di creature primordiali fameliche) senza preoccuparsi solo del lato tecnico e del gore, entrambi comunque ottimi, ma curando la struttura del racconto, il crescendo della tensione e la psicologia dei personaggi partendo da un'ottima sceneggiatura. Con il passaggio del timone a John Harris (già montatore della prima parte e, tra gli altri, dello spaventoso e da noi inedito Eden Lake), il miracolo non si replica. Le cause sono da ricercarsi soprattutto nella minore efficacia della sceneggiatura, in cui J Blakeson, James McCarthy e James Watkins sostituiscono Neil Marshall, per l'occasione solo produttore esecutivo. Si percepisce immediatamente, infatti, una minor cura delle premesse. Sembra che il regista non veda l'ora di imprigionare nel buio di una grotta un campionario di varia umanità il cui scopo principale è quello di fungere da carne da macello. Il raccordo con il film precedente è garantito dalla sopravvissuta Sarah Carter che, nonostante lo shock e la perdita della memoria, poco dopo essere riemersa viene ricacciata sotto terra per cercare eventuali altre sopravvissute. Già questa prima scelta limita notevolmente la sospensione di incredulità. Se a tale implausibilità si aggiungono gli stereotipi di cui grondano le caratterizzazioni degli altri personaggi (il duro, la coppia esperta, la mamma poliziotta, lo sceriffo imbranato e ottuso) diventa presto evidente il minore impatto del racconto. A limitare il coinvolgimento contribuisce anche la scelta di mostrare dettagliatamente ciò che il film precedente per lo più accennava. Le mostruose creature ancestrali, infatti, diventano protagoniste assolute e come al solito la concretizzazione della paura ne circoscrive, e quindi limita, la resa emotiva. Al di là dei confronti penalizzanti con il film di Marshall, comunque, il secondo capitolo fa il suo dovere di horror: salti sulla poltrona, eccessi splatter, colpi di scena e, soprattutto nella seconda parte, un'indubbia capacità di gestire la tensione. Tutto funzionale all'obiettivo che pare essere quello di spaventare nel rispetto delle convenzioni del genere. Un risultato dignitoso, certo, ma inevitabilmente una spanna inferiore rispetto al capostipite, anche in grado di destabilizzare.
