TRAMA
Un viaggio in yacht con delitto.
RECENSIONI
Tratto dall'omonima pièce teatrale di Steven Peros, il film rispolvera un fatto di cronaca, la misteriosa morte di Thomas H. Ince, le cui cause e implicazioni di colpevolezza sembravano fin da subito ricadere sull'ingombrante figura di William Randolph Hearst. D'obbligo citare per questo Citizen Kane di Orson Welles che di Kane/Hearst ci ha consegnato un impietoso quanto inarrivabile e unico ritratto. Bogdanovich dal canto suo sembra guardare alla storia e alle vicende narrate da un'altra prospettiva diametralmente opposta a quella di Quarto potere: se per Welles l'enigma e la ricerca della verità erano concentrate sui personaggi che non venivano abbandonati un solo attimo, Kane in particolare, Bogdanovich affronta il racconto da una distanza maggiore frapponendo alla storia e ai personaggi agenti un impalpabile ma significativo distacco, che cristallizza ed esclude, come in una sfera di cristallo. L'isolamento è dislocato su più livelli che vanno a confluire nell'intento comune del regista di creare una profonda falla tra passato e presente, tra realtà e rappresentazione inconciliabile.
Sul piano narrativo il film inizia in bianco e nero con la voce narrante della giornalista Elinor Glyn (Joanna Lumley) nell'atto di recarsi ad un funerale, perno centrale di ciò che seguirà: un flashback a colori lungo l'intero film. Solo a pochi minuti dalla fine si torna al bianco e nero del funerale, ad un presente comunque lontano, a quando le cose sono ormai accadute e la possibilità di cambiamento è stata del tutto estirpata. Oltre al tempo anche lo spazio in cui si svolge l'azione, una nave in mezzo all'oceano, è un evidente richiamo alla rimozione e al distacco. Non c'è continuità né possibilità di riconciliazione. Da questa via senza uscita scaturisce un profondo senso di impotenza, spaesamento e nostalgico ricordo per un passato ideale che non riesce a ripresentarsi, ma che continua ad imprimere al cinema del presente la sua pesante ombra. La nostalgia, per il cinema di Bogdanovich, è una costante e la solitudine che ne deriva un'obbligata e malinconica risposta.
The cat's meow è un film bisbigliato in cui viene celebrata la fine effettiva e dichiarata di un certo tipo di atmosfera, di un'età ormai svanita e perduta. Si parla di Hearst, ormai inglobato in pieno nell'immaginario collettivo cinematografico, per parlare del cinema nella sua interezza, della cesura netta che sigilla la fine di un certo tipo di mondo. A Bogdanovich non interessa la vicenda in sé, né l'omicidio di Ince, né le colpe, né tantomeno i rapporti tra i personaggi e l'insabbiamento della verità da parte di Hearst, quanto piuttosto la sensazione mortifera della fine di un'epoca, il declino preannunciato di Hollywood e di un certo tipo di fare cinema. In questo scenario dove il cinema diventa sbiadito ricordo di se stesso e dove i personaggi vivono schizofrenicamente tra il riso e l'angoscia non esiste più il piano della realtà, tutto diventa finzione consapevole e la vita si riduce ad essere una cinica partita a scacchi in cui si vive del proprio ruolo consci che quella scintilla che farebbe vibrare le corde dell'animo umano si è già consumata da tempo.
“Ultimamente faccio un sogno ricorrente, sono a bordo di quello yacht a spassarmela, ma osservo quanto sono ridicoli tutti gli altri e mi chiedo perchè non se ne rendano conto, poi vedo che anch'io sembro un'idiota, eppure è molto divertente tanto che nessuno di noi può smettere. Se smettessimo non saremmo nessuno” (Elinor Glyn)
