Drammatico, Poliziesco, Sala

THE BIKERIDERS

Titolo OriginaleThe Bikeriders
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2023
Durata116'
Sceneggiatura
Ispiratoal fotoromanzo di Danny Lyon
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La storia di un club di motociclisti del Midwest, i Vandals, e le vite dei suoi membri. Nell’arco di dieci anni il club, da luogo di ritrovo per gli outsider locali si trasforma in una gang losca e pericolosa che influenza e minaccia lo stile di vita unico del gruppo originario.

RECENSIONI

CAVALCARONO INSIEME?

Il perpetuarsi di una rincorsa, l'anelito a un rifugio impossibile, a un posto diverso dentro la realtà, mentre l'intorno ostile spinge all'isolamento o a una battaglia spesso persa in partenza, vuoi per stravaganze identitarie, perturbazioni misteriche o per asfissia nell'ingiustizia sociale e politica: all'interno dei film di Jeff Nichols si intrecciano e annodano fili tematici, e così camminano per arrivare a un bivio frustrato l'allucinato Michael Shannon di Take Shelter, gli innamorati Joel Edgerton e Ruth Negga di Loving, il magical boy di Midnight Special, lo scontroso Matthew McConaughey di Mud. Il trio di The Bikeriders fa parte del gruppo più sciagurato, di una famiglia che più luttuosa non si può: un punto di non ritorno nel cinema di Nichols, l'espressione rinunciataria della sua Fernweh nei confronti di old e new Hollywood, l'auto-diagnosi di una sindrome dell'età dell'oro – cinematografica, essenzialmente e primariamente: in The Bikeriders la Storia non esiste, è un'emulazione connotata soltanto dalle conoscenze acquisite per interposto film.
La questione è sovraesposta, nel sesto lungo di Nichols, a zonzo irrequieto tra immagini-feticcio, chimere rammentate, rimpiante e revisionate dai personaggi stessi: da Kathy, la donna del bikerider Benny, che nei primi minuti accende per lei i motori di una Cinderella story subito negata, menomata, perché lui, vero segno jamesdeaniano imprendibile e folgorante, è conteso anche da Johnny, il marlonbrandesco capobanda innamoratosi di un'idea dopo averla vista sullo schermo, e che ora tenta di fondarla nei corpi e nelle menti dei ragazzoni arruolatisi tra le fila degli Outlaws MC. Johnny necessita di Benny per metterla compiutamente in scena: Austin Butler è qui, come in un refrain meno perverso ma altrettanto mefitico di Elvis, puro empito, icona, imago, manifestazione di un desiderio già bruciato. Jodie Comer (attrice straordinaria, e, come in The Last Duel, punto di vista “altro” rispetto alle norme della Storia) e Tom Hardy sono soli nel sentimento per lui, divisi da un bisogno di esclusività a cui il giovane uomo – sempre sul punto di sparire, sempre in movimento contrario, già concluso – non potrà mai appartenere, che non potrà mai esaudire e non saprà mai performare davvero.
Dopotutto, «da morti si sta meglio che da vivi», anche la tragedia è un'inerziale decalcomania, e se non si muore da eroi (o da cosplay: occhio ai sosia di Christopher Walken e Dennis Hopper), si finisce fenomeni da baraccone per la promozione di Easy Rider, oppure, partiti come rebel without a cause, dopo essersi sognati tali si resta risucchiati nell'istituzione borghese, conformati al copione ordinario delle cose. Allora non è un caso, ed è forse la scelta più ispirata di questo film fuori tempo, fuori moda, fuori registro e fuori posto, che per interpretare il fotografo Danny (Lion, dai cui scatti contenuti nel libro Bikeriders, 1968, è germogliato il progetto di Nichols) sia stato convocato Mike Faist, che viene (ed è stato meritatamente lanciato) da un altro détour sui fantasmi della Mecca, su un tempo che fu o forse non fu mai: il West Side Story di Spielbierg, grande messe des morts, poema immenso d'amore che non può (più) esser ricambiato, come le spinte opposte di Kathy e Johnny verso Benny. Forse per questo la litigante, in uno scatto d'esasperazione, borbotta: «Non può essere amore, dev'essere stupidità».