THE BEAUTIFUL WASHING MACHINE

Anno Produzione2004

TRAMA

Teoh ha comprato una lavatrice di seconda mano che si aziona e si spegne quando vuole, come se avesse vita propria. Quando l’anima femminile che si cela nell’elettrodomestico si materializza, Teoh la sfrutta per ogni faccenda domestica, affittandola persino a estranei. Tra i proprietari successivi c’è l’anziano vedovo Wong, che l’accoglie in casa con l’entusiasmo del figlio e la diffidenza della figlia.

RECENSIONI

Lava che ti passa

Un uomo acquista una lavatrice. È stato abbandonato dalla compagna e deve sbrigarsela da solo con le faccende domestiche. Anche al lavoro le cose non vanno per il meglio. Il nuovo elettrodomestico, però, non funziona molto bene e spesso si ferma a metà di un ciclo di lavaggio per non ripartire più. Il protagonista si lega alla lavatrice in modo strano: la guarda mentre è in azione, le dà da mangiare e la avvicina al letto (un po’ come il Christopher Lambert di "I love you" di Marco Ferreri, innamorato di un fischietto che ripete incessantemente di amarlo senza chiedere nulla in cambio). Un giorno si trova in casa una donna silenziosa e riverente (la ex compagna? una conoscente? una sconosciuta?) e la tratta come una serva facendola sgobbare tutto il giorno e arrivando addirittura a cederla ad altri in cambio di denaro. Ma lui viene ucciso e la donna riesce a scappare, finendo nell’auto di un uomo ormai anziano con due figli, dedito a masturbazioni solitarie davanti a video gay. Inseritasi nel nucleo famigliare, la ragazza dovrà vedersela con i figli del nuovo padrone: col più giovane riuscirà a stabilire un legame affettivo, mentre subirà violenza dal marito della figlia (con il suono della centrifuga in sottofondo) che per fatalità la ucciderà, ma… quando alla fine l’uomo anziano finirà al supermercato ad acquistare litri e litri di  birra Guinness, chi troverà alla cassa? Di nuovo lei, rediviva! Questa in sintesi (qualità mancante al giovane regista malese James Lee) la trama del film. Le inquadrature, quasi sempre fisse, si succedono con una messa in scena non casuale ma catatonica. Qualsiasi ipotesi di bellezza è però distrutta dalla fotografia livida di Teoh Gay Hian che, penalizzata dal supporto Betacam, stende una patina giallognola sul destino dei protagonisti. Difficile capire quello che il regista e sceneggiatore vuole comunicare attraverso una narrazione fitta di simboli (la maschera indossata dall’uomo anziano, la lavatrice stessa) e metafore poco illuminanti. Forse che i rapporti sociali sono ancora ingabbiati in una logica maschilista che impedisce alla donna qualsiasi realizzazione personale al di là delle occupazioni muliebri? Oppure che i rapporti di coppia sono destinati a non essere mai paritari, con uno dei due elementi al comando e l’altro succube, entrambi comunque infelici? O magari che l’incapacità di comunicare cova i germi dell’insoddisfazione e che l’istituzione familiare non è altro che un ricettacolo di pulsioni inespresse? Qualunque siano le motivazioni che si celano dietro al lungometraggio, poco arriva al di qua dello schermo e la visione si limita a diventare estenuante. Nelle note di regia si legge che la donna che il protagonista si trova in casa è "la materializzazione dell’anima femminile racchiusa nell’elettrodomestico". Certo, se per capirlo bisogna leggerlo!!!