Recensione, Supereroi

THE AMAZING SPIDER MAN 2

Titolo Originale"The Amazing Spider-Man 2
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2014
Genere
Durata142'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Peter Parker continua la sua brillante attività di Uomo Ragno ma è ossessionato dalla promessa (non mantenuta) fatta al padre di Gwen.

RECENSIONI

Reboot 2.0. Eccoci al secondo capitolo del riavvio della saga dell’Uomo Ragno, con avvertibili correzioni di rotta in senso adulto. Il primo The Amazing Spider Man era infatti un prodotto adolescenziale, con evidenti stilemi da High School Movie americano, prevedibilità e coccole profuse a piene mani per i giovani spettatori salvaguardati da qualunque possibile turbamento. Qui le cose si fanno un po’ diverse. La stucchevole ironia dello sbruffoncello Peter Parker permane ma il contorno vira al maturo/consapevole. Si pensi solo alla storia d’amore tra Peter e Gwen, frettolosamente e felicemente conclusa a tarallucci e vino nel primo capitolo ma riploblematizzata nel secondo, tanto da decretarne una nuova fine. E quando i tasselli del mosaico sembravano ricomporsi in maniera, di nuovo, indolore e zuccherosa, ecco arrivare la morte di Gwen che sancisce il raggiungimento della maggiore età dello Spider Man di Webb.

Ma ci sono anche altri segnali di (volontà di) crescita, come gli accenni all’autoreferenzialità critica. Peter Parker che ipotizza di trasferirsi a Londra, ad esempio, e si giustifica/convince dicendo che “anche in Inghilterra esiste il crimine” non si può non leggere come un’autocritica al supereroismo americanocentrico del Marvel Movie (e del cinema hollywoodiano in genere). Ora: bastano queste (buone?) intenzioni a decretare il salto di qualità del reboot? Non proprio. Il film è girato col pilota automatico e spettacolarità ordinaria (buoni i long take dell’Uomo Ragno che ondeggia tra i grattacieli di NY) ma ostenta un digitale troppo evidente (a tratti, ai limiti del pauperistico) ed è, soprattutto, scritto coi piedi. Al di là del minutaggio che si fa sentire davvero tutto, con lunghi tratti di noia vera e propria, ci sono passaggi frettolosi (la conversione a “cattivo” di Harry Osborn), altri candidamente sciatti o del tutto ingiustificati da un punto di vista strettamente narrativo (lo stesso Osborn che, cacciato dalla Oscorp e destinato all’arresto, viene lasciato inaspettatamente libero di scorrazzare dove vuole, entra con nonchalance nell’ipertecnologico carcere in cui è rinchiuso Electro e lo libera in scioltezza). Andrew Garfield si conferma attore monocorde, la Stone è in parte e sgrana gli occhioni con cognizione di causa, Jamie Foxx è difficile da giudicare mentre Sally Field potrebbe dare la paga a tutti (si veda il duetto drammatico con lo stesso Garfield) ma è spesso mortificata da una sceneggiatura impossibile da valorizzare.