
TRAMA
Peter Parker continua la sua brillante attività di Uomo Ragno ma è ossessionato dalla promessa (non mantenuta) fatta al padre di Gwen.
RECENSIONI
Reboot 2.0. Eccoci al secondo capitolo del riavvio della saga dell’Uomo Ragno, con avvertibili correzioni di rotta in senso adulto. Il primo The Amazing Spider Man era infatti un prodotto adolescenziale, con evidenti stilemi da High School Movie americano, prevedibilità e coccole profuse a piene mani per i giovani spettatori salvaguardati da qualunque possibile turbamento. Qui le cose si fanno un po’ diverse. La stucchevole ironia dello sbruffoncello Peter Parker permane ma il contorno vira al maturo/consapevole. Si pensi solo alla storia d’amore tra Peter e Gwen, frettolosamente e felicemente conclusa a tarallucci e vino nel primo capitolo ma riploblematizzata nel secondo, tanto da decretarne una nuova fine. E quando i tasselli del mosaico sembravano ricomporsi in maniera, di nuovo, indolore e zuccherosa, ecco arrivare la morte di Gwen che sancisce il raggiungimento della maggiore età dello Spider Man di Webb. Ma ci sono anche altri segnali di (volontà di) crescita, come gli accenni all’autoreferenzialità critica. Peter Parker che ipotizza di trasferirsi a Londra, ad esempio, e si giustifica/convince dicendo che “anche in Inghilterra esiste il crimine” non si può non leggere come un’autocritica al supereroismo americanocentrico del Marvel Movie (e del cinema hollywoodiano in genere). Ora: bastano queste (buone?) intenzioni a decretare il salto di qualità del reboot? Non proprio. Il film è girato col pilota automatico e spettacolarità ordinaria (buoni i long take dell’Uomo Ragno che ondeggia tra i grattacieli di NY) ma ostenta un digitale troppo evidente (a tratti, ai limiti del pauperistico) ed è, soprattutto, scritto coi piedi. Al di là del minutaggio che si fa sentire davvero tutto, con lunghi tratti di noia vera e propria, ci sono passaggi frettolosi (la conversione a “cattivo” di Harry Osborn), altri candidamente sciatti o del tutto ingiustificati da un punto di vista strettamente narrativo (lo stesso Osborn che, cacciato dalla Oscorp e destinato all’arresto, viene lasciato inaspettatamente libero di scorrazzare dove vuole, entra con nonchalance nell’ipertecnologico carcere in cui è rinchiuso Electro e lo libera in scioltezza). Andrew Garfield si conferma attore monocorde, la Stone è in parte e sgrana gli occhioni con cognizione di causa, Jamie Foxx è difficile da giudicare mentre Sally Field potrebbe dare la paga a tutti (si veda il duetto drammatico con lo stesso Garfield) ma è spesso mortificata da una sceneggiatura impossibile da valorizzare.

Marc Webb continua, per deformazione professionale, a indulgere troppo in sentimentalismi e commedia; la produzione, d’altro canto, persevera nell’assegnarsi un target d’età medio-basso, leggermente meno adolescenziale (ma, fra le scene tagliate, c’era un Goblin più crudele, delirante e spaventoso). La seconda puntata del reboot di Spider-Man, però, opera un salto di qualità immane, ed è tutto merito del cambio alla sceneggiatura (tecnicamente, segnaliamo anche il cambio dal digitale al 35mm, con 3D da post-produzione), con il subentro dei maghi Roberto Orci e Alex Kurtzman, certezze di inventiva e corposità del racconto anche debordanti ma molto meglio organizzate che nel fallimentare Spider-Man 3 di Sam Rami. Quest’ultimo, a differenza di Webb, avrebbe fatto faville con una delle storie sentimentali tragiche più belle della cultura di massa, quella fra Peter/Spider e Gwen Stacy ma ben sopperiscono Orci e Kurtzman con un plot ricco di paralleli, che reinventa il background dei vari personaggi e li mette tutti in connessione. Aggiustano il tiro anche nel disegno di Peter Parker, non più schizofrenico ma complicato, con Gwen che lo completa e lo riporta sul giusto binario. A seguire, ci sono i “mostri” senza speranza che odiano Spider (andava motivato meglio il perché) e ne fanno il capro espiatorio di un’umanità che li ha ghettizzati in modo crudele (notevole Dane DeHaan nei panni di Goblin). Il tira-e-molla sentimentale con Gwen, companatico fondamentale degli originali a fumetti, è protagonista della prima parte; la spettacolarità è appagata, oltre che da rovinii vari e “dal vero” per la città di New York, dalle magnifiche coreografie, fra ralenti e freeze frame, dello scontro con Electro in Times Square e, per chiudere in bellezza, di quella contro Goblin nella Torre dell’orologio, dove la beffa del destino (il non-salvataggio in extremis) di una ragnatela-mano in ritardo, unisce la tragicità di esseri umani che si sentono traditi e reagiscono nella rabbia e quella di un amore ritrovato e negato. Grandissima scrittura. E che spasso vedere Paul Giamatti nei panni di Rhino.
