TRAMA
Un uomo lavora come meccanico, soffre di svenimenti, il medico gli fa delle sconce profferte, viene corteggiato da un collega. A casa una dolce moglie lo attende. E’ in realtà una donna.
RECENSIONI
E' difficilissimo avere a che fare con questo prodotto del Bangladesh, premiato al Torino film Festival 2002, la distanza culturale che separa lo scrivente, occidentale, dalle strutture portanti orientali ha le proporzioni di una voragine. Asoka Handagama non offre uno sguardo globalizzato sul suo Paese e sulle persone, non si tratta di un format da "aiuti umanitari", non c'è alcuno stereotipo che possa far alzare indici ammonitori, ma soprattutto fornire un qualche appiglio. Una vicenda da melo. Così dicendo lo avviciniamo a canoni di comprensione ed analisi sminuendone allo stesso tempo i tratti: "Le bambine, sin da piccolissime, capiscono che la loro femminilità è una creazione dell'ordine sociale.[…] Il risultato è che tutte vogliono essere anche uomini. Questo desiderio, crescendo diviene un dilemma". La protagonista ha vissuto tutto questo ed ora fronteggia la rottura, mai ha confessato la sua reale femminilità, nemmeno alla moglie, ma non è possibile alcun ripensamento data la condizione delle donne che la/lo circondano. Sottomesse, sfruttate, oggetti sessuali. Non c'è un briciolo di felicità, a casa, alla fine, la moglie, che confessa di avere sempre saputo la verità le concede un istante di sollievo. I registri si intrecciano, dal dramma più cupo alla commedia (i personaggi del medico e del datore di lavoro)(le situazioni che ricorrono quasi identiche) al resoconto sociale/esistenziale, l'evidente povertà del budget costringe a soluzioni tecniche grottesche (i dialoghi in campo/controcampo doppiati così: la voce del parlante è sempre off, in primo piano l'ascoltatore) ma un nocciolo di disagio che è difficile da dimenticare si innesta. Rimane difficile dire e soprattutto valutare tutto questo.

Donna, Uomo o Persona?
Un plot da fare invidia ad Almodovar diventa specchio della degradante condizione femminile in una società (siamo nello Sri Lanka) fondata esclusivamente sulla fragile, ostentata e mai messa in discussione virilità maschile. La protagonista si finge infatti un uomo e si trova al centro di un labirinto di passioni da cui non riesce ad uscire indenne: è desiderata da un uomo come uomo, è amata da un uomo come donna, ed è pure sposata ad una donna che conosce la verità ma non vuole perdere i privilegi di moglie. Il taglio grottesco stempera la drammaticità delle tinte e più che i risvolti psicologici sembrano interessare al regista quelli politici. Sappiamo infatti quasi niente del passato della protagonista, delle motivazioni che l'hanno portata a forzare la sua natura e più che sulle difficoltà emotive conseguenti alla sua scelta, il regista si sofferma sulle conseguenze sociali. La protagonista non fatica ad accettarsi come donna essendo un uomo, semplicemente non vuole essere una donna, costretta a sopportare le angherie del marito, servire e pulire tutto il giorno, subire le molestie sessuali al lavoro e per strada. Ed alla fine il regista riesce, con ironia, sguardo brillante (non per questo meno tragico) e senza cadere nel didascalico, a mettere in scena una società assurda, dove i bisogni del singolo sono annullati a favore delle sicurezze offerte dal perpetuarsi della tradizione.
