Il secondo (e ultimo) capitolo del Torino Film Festival secondo Nanni Moretti si chiude in modo trionfale. Il successo della manifestazione è inequivocabile (lasciamo parlare le cifre diffuse dall’organizzazione all’indomani del primo weekend: 44% l’incremento dei biglietti venduti e 20% quello degli accrediti).
_x000D_I punti a favore di questa edizione sono stati senz’altro l’efficienza della gestione (che ha avuto a disposizione due sale in più, che hanno evitato molti degli intasamenti dello scorso anno), l’assenza di inutile grandeur (la grandezza la si ha o non la si ha, certo non la si inventa – vedi Roma, festival che, pretendendo di essere nato adulto, non si decide a crescere sul serio -), una salutare informalità, da sempre marchio di fabbrica di una kermesse che è riuscita a fare di un suo punto debole (l’assenza di un Palazzo del Cinema che concentri in sé gli eventi) un punto di forza (le numerose sale del centro di Torino, vissuto dai frequentatori del festival come un lussuoso salotto). Due riserve consistenti riguardano invece il cartellone:
_x000D_- il concorso: ancora una volta non si è riusciti a mettere in piedi un programma adeguato – dominato, in questi caso, dall’unico titolo di reale, tangibile caratura, il premiato Tony Manero;
_x000D_- le retrospettive: dedicate a due maestri come Melville e Polanski (perché non dedicarne almeno una a un regista meno conosciuto e da rivalutare/scoprire?).
Indubbiamente il carisma di Moretti ha giovato alla manifestazione, in termini di consenso pubblico: l’abnegazione del regista romano, estremamente presente (ci rimarrà impressa l’immagine del Nanni nazionale che cerca posti a sedere per alcune persone rimaste in piedi prima della proiezione di un film in concorso), ha evitato illogicità e disservizi. Gli va inoltre dato merito di aver perpetuato una tradizione di estrema vicinanza tra protagonisti della manifestazione e pubblico. Da questo punto di vista il suo successore, Gianni Amelio, garantisce senz’altro continuità. Sulla solidità del cartellone, invece, rimangono le incognite, ferma restando l’assurda concorrenza del festival romano (per il quale Moretti ha avuto ferme parole di condanna) e un certo sacrificio per le proposte più sperimentali (anche quest’anno tutte concentrate in quella che rimane la più interessante delle sezioni del festival, La Zona).