

L’uscita di The New World, a “soli” otto anni da La sottile linea rossa, ha forse segnato la normalizzazione di una carriera registica nella quale il sostanziale silenzio artistico ventennale, con conseguenti mitizzazioni salingeriane-pynchoniane, rischiava di diventare troppo ingombrante e criticamente poco proficuo. Il corposo volume di Fornasiero, la prima monografia di Malick a includere anche l’ultima sua fatica, esce dunque al momento giusto: 415 pagine nelle quali si scende nello specifico filmico, con sistematicità quasi scientifica e intenti esaustivi (benché l’introduzione dell’autore si intitoli, modestamente, rispettosamente e “Ives-ianamente”, Domande irrisposte).
a prima parte, L’uomo e il suo cinema, non si sottrae a una certa ritualità biografica ma, nondimeno, inaugura il lungo lavoro di puntiglioso approfondimento che caratterizzerà l’intero libro, con l’aneddotica che diventa terreno fertile (o prodromo) di un preciso discorso analitico. Nella seconda parte, L’ascolto e la visione, quella che (sia detto en passant) l’umile recensore ha letto con maggior interesse, Fornasiero passa al filmico propriamente detto con un articolato e tetrapartito discorso che affronta, nell’ordine, l’uso della/e voce/i narrante/i, il sound design, la fotografia (composizione e luce), il montaggio e i movimenti di macchina. E’ ovviamente impossibile riassumere, anche solo per sommi capi, le singole trattazioni e le conclusioni alle quali si giunge nelle varie sezioni, ma basti qui citare la puntualità con la quale Fornasiero elenca i referenti fotografici, pittorici e cinematografici di Malick o gli excursus di analisi propriamente testuale, quasi bellouriana, sui quali si costruisce il discorso riguardante il montaggio e i movimenti di macchina.
La terza parte, Il sangue sull’erba, analizza la rappresentazione della violenza nel cinema di Malick e, di nuovo, si dà un ancoraggio (un senso?) tutto filmico, tutto cinematografico a espressioni come “distacco emotivo dall’omicidio”, argomentando e dimostrando analiticamente il perché, ad esempio, “I giorni del cielo tratta la violenza con la stessa rapidità impiegata in Badlands, a differenza del quale, però, concede una maggiore partecipazione emotiva alla morte dei personaggi (…)” (cit.). In questa terza parte, in verità, Fornasiero si/ci concede anche qualche (apparente) divagazione che rischia di appesantire un po’ la lettura (un intero capitoletto è dedicato all’analisi della simbologia elementare empedocleana Terra-Aria-Fuoco-Acqua nel cinema del regista), ma senza perdere niente in “rigore”. Anzi.
Chiudono il libro la quarta parte, Le opere e la loro genesi, nella quale si esaminano soprattutto “le fonti” (i fatti di cronaca del ’58 per Badlands, il romanzo di Jones, il film di Marton o Il grande uno rosso per La sottile linea rossa), e un’interessantissima appendice che traccia una cartografia dei flussi di coscienza de La sottile linea rossa, sgombrando finalmente il campo dalle imprecisioni e dei fraintendimenti che hanno sempre caratterizzato l’orientamento critico/analitico tra le voice over del film.