TRAMA
Una serie di scosse telluriche sconvolge le fondamenta di Los Angeles: passata la paura, i protagonisti devono affrontare anche una tremenda inondazione, causata dalla rottura di una diga.
RECENSIONI
Com’era accaduto nel precedente Airport, di cui cerca di replicare la formula di catastrofe e contorno fatto di vari personaggi con i loro vissuti, quest’ultimo è insignificante rispetto alla messinscena della tensione, soprattutto quando la politica dell’immagine vuole vendere Lorne Greene come padre di Ava Gardner, più giovane di soli otto anni. Le trame dell’angoscia, coadiuvate dagli effetti speciali (vincitori di un Oscar, insieme al suono), sono molto più studiate e generose del resto, partorito dalle penne di Mario Puzo (che nel 1972 consegnò una prima bozza più articolata sui caratteri) e George Fox (neofita assoldato per la riscrittura). Le sequenze pre (tensione)-durante (evento)-dopo (angoscia) terremoto sono notevoli, tutti i personaggi che lo vivono sono inutili, per quanto sostenuti da un gruppo di attori di fama (Walter Matthau compreso, accreditato con il suo vero cognome Matuschanskavasky): ha poco senso, quindi, la versione estesa da 161’, con scene girate appositamente e successivamente per la messa in onda televisiva in due serate. Mark Robson ci crede fino in fondo, dirige e produce in competizione con l’altro disaster movie in uscita quell’anno e con simile grattacielo in fiamme, L’Inferno di Cristallo (presto raggiunti anche da Airport 75: il 1974 è l’anno delle catastrofi cinematografiche): la sua fu la prima pellicola a sfruttare il Sensurround, che accentuava i bassi per dare vibrazioni di terrore terremotato agli spettatori, e una nuova tecnica per simulare le scosse con la camera che, unita ai modellini in scala degli edifici della città e all’ottimo lavoro degli stunt (ingaggiati in numero da record), sortisce un ottimo effetto realistico.