TRAMA
Il dottor Windom, in Malesia, si prodiga per curare la popolazione locale. Parteggia per essa anche quando insorge contro le prevaricazioni della società inglese che sfrutta la loro manodopera nelle piantagioni di gomma. Lo raggiunge la moglie, con cui è in rotta.
RECENSIONI
Lo sceneggiatore Craigie è lo stesso del divertente Il Forestiero (1953) di Neame e, dimostrando la stessa versatilità nei generi del regista, fornisce una solida traccia narrativa che unisce il dramma sentimentale (per niente banale) a quello politico e umanitario. Neame, però, è troppo avaro di campi lunghi o semplici totali che diano profondità e respiro alle sequenze: il risultato è al contempo claustrofobico e statico, con lunghi piani sequenza a macchina da presa fissa, anche senza azione e dialoghi. Se il suo maestro è David Lean (per cui è stato produttore, sceneggiatore, direttore della fotografia), non ha ben appreso la lezione sullo sfruttamento degli spazi: l’esclusiva presenza di piani ravvicinati appartiene ad un cinema che si esprime di più con le parole, le espressioni, le pause e non è il caso di quest’opera. Regala, però, sequenze sorprendentemente tragiche e realistiche come quella della rivolta, in linea e in anticipo sul miglior cinema inglese politico e di denuncia a venire (stile Urla del Silenzio). Peter Finch, nella parte di un medico-missionario in luogo esotico, anticipa il suo ruolo in Storia di una Monaca di Fred Zinnemann e traccia un’ideologia “Windom’s way” (titolo originale) di tutto rispetto, fra estro umanitario e protesta contro qualsivoglia violenza, da qualunque credo, condivisibile o meno, sia partorita (dal filo-comunismo alla logica prettamente commerciale dell’occidente). Gli autori dimostrano un impegno civile sincero nel momento in cui evitano il sensazionalismo e la strumentalizzazione ad effetto degli eventi raccontati ma pagano anche lo scotto con un racconto poco affabulato, monocorde, parco di emozioni da condividere. Tutti eccellenti gli interpreti.