Fantascienza, Recensione

TERMINATOR GENISYS

Titolo OriginaleTerminator Genisys
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2015
Durata126'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

2029: Skynet manda un T-800 nel 1984 per uccidere Sarah Connor, ma la trama del primo film verrà cambiata per sempre.

RECENSIONI

Certe recensioni andrebbero scritte nell’immediato post-visione perché certi film evaporano molto velocemente. Terminator 5 è uno di quei film e io ho aspettato troppo tempo, prima di mettermi a scrivere. Quello che mi ricordo, però, mi parla di un film completamente sbagliato. Alcune cose, lì per lì, non mi erano sembrate neanche da buttare: gli incastri/sovrapposizioni col primo capitolo, a suon di sequenze riprodotte alla lettera (narrativamente giustificate, tra l’altro), i link altrettanto diretti col secondo capitolo, di nuovo narrativi e “iconici” (la ricomparsa del T1000), l’idea di costruire il film intorno a Schwarzenegger, e di dare consistenza diegetica (i viaggi nel tempo) e tecnologica (i tessuti umani del Terminator che si deteriorano) al suo invecchiamento reale. Cose così. Trovate simpatiche, teoricamente promettenti, nell’ottica di un ritorno nostalgico alle origini della saga (cfr. Jurassic World).

A quanto mi ricordo, però, succede che la teoria si scontri con la pratica e che, ben presto, tutto precipiti nell'involontariamente autoparodico, tra l'imbarazzo generale. Il cyber/steam/punk cede il passo a rassicuranti atmosfere Stargate, il miscasting la fa da padrone (Emilia Clarke?) e il gioco di incastri temporali pare infischiarsene bellamente di Penrose, Hawking e del Paradosso del Nonno. A proposito di nonni, il trattamento riservato a Schwarzy rasenta l'irrispettoso: ridotto a macchietta, confinato in un eterno fuori luogo, riesce a colmare la (breve) distanza che lo separava dal McBain simpsoniano coprendosi di ridicolo, benché il sorriso paresico possa essere (sovra)interpretato come uno slancio di autoironia consapevole, fondata sulle note incapacità attoriali dell'ex governatore della California. Ma anche no. La regia di Alan Taylor è, benevolmente parlando, invisibile, e asservita allo scopo, abbastanza evidente, di alleggerire i toni in direzione MarvelMovie. Volontà confermata anche dal post-finale nei titoli di coda, in cui si vede il cuore di Genisys ancora pulsante e si lancia l’esca per agganciare gli inevitabili sequel.

A sorpresa, questo reboot (solo nella parte iniziale) e sequel-prequel, non solo giustifica la propria esistenza nei paradossi temporali e con il motto “Il futuro non è scritto”, ma è anche uno dei migliori capitoli della saga (serial Tv compreso), a detta, anche, di James Cameron che lo considera il terzo seguito ufficiale. Merito della sceneggiatura di Patrick Lussier e Laeta Kalogridis che si sono ispirati a Ritorno al Futuro parte II e che, da un lato, compendiano i capitoli cinematografici (escluso il terzo: peccato, la She-Terminator era da recuperare) attraverso personaggi e incastri temporali, dall’altro li riscrivono per intero con l’espediente della minaccia alla vita di John Connor nel futuro. Rimaneggiando il passato, il film è un’operazione nostalgica che innesta perfettamente la parabola di Skynet nel nostro presente dove tutto è “connesso”: si è liberi di inventare, pur rispettando e citando tutto quanto lo spettatore ha già esperito davanti allo schermo. Il plot è complicato e inventivo, i paradossi temporali intrigano: per il resto (¾) è un blockbuster spettacolare di sconquassi e inseguimenti, superlativi nel momento in cui si predilige la materia (se ci sono di mezzo veicoli e civiltà umana) rispetto al digitale (che funziona meno, vedi l’apertura con la guerra contro i robot nel futuro). Nonostante la spettacolarità, il film si concede il tempo di affrontare in modo non banale il tema del libero arbitrio e analizza il rapporto con una stirpe nemica che acquista agli occhi umani un’anima: il tramite è la figura di Arnold Schwarzenegger, cui sono riservate le scene con battute ironiche, non sempre opportune.