
TRAMA
Hell’s Kitchen (New York), 1946: i tre fratelli Carboni s’impegnano anima e corpo nel mettere su e promuovere la “Taverna Paradiso”, palestra dove si svolgono incontri di wrestling e si accettano scommesse.
RECENSIONI
Sottovalutato (da critica e pubblico) questo esordio alla regia di Sylvester Stallone che, rimanendo in campo sportivo con melodramma familiare, non solo ricrea con atmosfera un periodo storico ma, ancora, rende contagioso (davanti e dietro la macchina da presa) il suo entusiasmo, il suo appello con lirismi esasperati/esasperanti a sogni e speranze (amarezze annesse). Era uno Stallone prima maniera che, per quanto acerbo e ingenuo, era anche (a modo suo) ambizioso, focalizzandosi sull’essere umano e il sentire malinconico, non (solo) sui muscoli in azione. Il suo talento nel pennellare un personaggio, dargli colore e calore, è innegabile: la sincerità e l’innocenza dell’operazione, poi, scusano anche la mancanza di senso della misura (Stallone è regista, sceneggiatore che adatta un proprio romanzo su tre afroamericani, attore…e cantante della titletrack), e pochi sanno coreografare meglio di lui le “danze” sul ring (pugilato o lotta libera che sia). I produttori, purtroppo, non credettero in questa sua creatura e non gli fecero spiccare il volo nelle fattezze volute dal suo autore ma ha sicuramente pesato, sull’esito poco gratificante al botteghino, la mancanza di epica muscolare (rispetto a Rocky): lo stesso incontro finale, immerso nell’acqua, ha il sapore della disperazione del freak, più che della rivalsa degli ultimi. Coraggioso.
