Drammatico, Proibiti

TANGERINE

Titolo OriginaleTangerine
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2015
Durata88'
Montaggio

TRAMA

La giovane transessuale Sin-Dee torna a Los Angeles alla vigilia di Natale, dopo 28 giorni di prigione. L’amica Alexandra le riferisce la voce che il suo protettore e amante Chester l’avrebbe tradita. Sin-Dee nell’arco della giornata si mette sulle sue tracce per fare chiarezza.

RECENSIONI


Prodotto dai fratelli Duplass, timbri dell’indie americano, presentato prima al Sundance Film Festival 2015, poi diffuso fino ad ottenere una vasta schiera di ammiratori, Tangerine (mandarino, il colore dominante del film) è stato girato con tre smartphone iPhone 5S da Sean Baker e dal direttore della fotografia Radium Cheung. In realtà però, al contrario di quanto si crede, non è uno smartphone movie “puro”, perché il regista e il cinematographer sono ricorsi a interventi esterni rispetto ai cellulari, oltre al montaggio, per esempio l’utilizzo di una steadicam con cui migliorare il movimento degli smartphone e favorire la costruzione dell’inquadratura.
Al di là della singolarità compositiva, fin troppo sottolineata, più opportuno appare soffermarsi sull’idea di cinema di Baker: il cineasta newyorchese si è sempre occupato di ultimi e losers con mezzi poveri, di membri di minoranze, figure e corpi orgogliosamente “diversi”. Dal migrante cinese in Take Out (2004) al clandestino piccolo criminale in Prince of Broadway (2008), il passo naturale è inscenare il transgender in modo frontale, a testa alta, con attrici trans (Kitana Kiki Rodriguez e Mya Taylor): dall’inizio, dalla prima inquadratura, con le mani che si intrecciano senza poter definire se maschili o femminili. Compare una donut, ciambella della tradizione americana, e la sua istantanea negazione già iscritta nel primo dialogo: “Merry Christmas Eve, bitch” (Alexandra), a enunciare che non è un normale film di Natale.


Il regista insiste subito e apertamente sull’alterità: Sin-Dee reagisce male al tradimento di Chester, soprattutto perché consumato “with a real girl”, dato ripetuto convulsamente, lo smacco è più grave perché avviene con una ragazza vera con una vagina vera, l'uomo si rivolge a una normalità convenzionale e mette in dubbio la normalità del proprio essere diversi. Allora si innesca il movimento: Sin-Dee/Cinderella inizia a cercare il principe azzurro, naturalmente, ma la citazione serve soprattutto a rafforzare il contrasto, il nome rassicurante della fiaba contro l’essere transessuale in Usa oggi. Dallo scatto di Sin-Dee, partenza del percorso, le inquadrature si sviluppano basicamente in due/tre soluzioni, riprendono la ragazza in controtempo, la seguono e la “avvolgono” per costruire il senso del suo moto. Nella dialettica iniziale interno/esterno del diner, Sin-Dee esegue uno strappo, si alza e mette in marcia nell’arco di poche riprese, avviando un girovagare continuo che è motivo del film.
La parlantina delle ragazze risuona costante e ininterrotta: improntata a un rigido realismo di strada, farcito di parolacce e linguaggio diretto, il dialogo si staglia come tappeto sonoro che le accompagna, stendendo un bombing di parole come soundtrack nelle sequenze a loro dedicate. Baker manovra il racconto in fieri, concedendo le sole informazioni rilasciate dalle due (per esempio Alexandra annuncia un evento per quella sera, come/cosa non è dato sapere), e nella prima parte allestisce un “giallo” sull’identità dell’amante indicata con la lettera D. Nel frattempo, in montaggio alternato, seguiamo la vicenda del tassista armeno Ramzik, amante di Alexandra, parabola nettamente minore e aneddotica: egli guida la vettura e subisce i suoi strani passeggeri, i freak del Natale americano, dalla signora in lutto alla ragazza dei selfie, passando per i giovani stoned in una rassegna tragicomica di ordinaria disperazione, idiozia, social-dipendenza e alterazione. Cenni di mostri messi in quadro nella solita cornice del taxi.


Quando Sin-Dee trova il “colpevole” (Dinah) si consuma l’incontro tra due sbandate, che parte dal violento conflitto e prosegue su un filo che arriva alla solidarietà, il sodalizio tra ultimi, concretizzato in un’evoluzione proprio fisica del loro rapporto: prima Sin-Dee maltratta brutalmente Dinah per strada, dopo arriva perfino a truccarla e “curarla”, in potenza già consapevole che la creazione di un’alleanza interna è l’unica mossa plausibile.
La messinscena asseconda lo spostamento vorticoso dei personaggi, frequenta generi e archetipi, come la commedia (l’irruzione della suocera di Ramzik), corteggia il sentimentale e il melò ma non elude sequenze di particolare durezza (le scene di prostituzione) in un impasto tra tenerezza e crudeltà. Come in alcuni romanzi di Dennis Cooper, ma senza il suo disperato spessore, visto che qui diversità e normalità dialogano tranquillamente tra loro, l’incastro tra momenti leggeri e squarci spietati suggerisce gradualmente un compromesso: non troppo edulcorato, non troppo brutale, quindi a metà del guado. Mantenendo un assunto di fondo: la love story tra Sin-Dee e Chester è solo supposta, è tutta nella testa della ragazza ma non viene mai ricambiata, risolvendosi nel mero rapporto commerciale tra un protettore e la sua prostituta. Nel cuore della trans innamorata si forma un equivoco, una visione romantica che sbatte contro la realtà della strada, e il pellegrinaggio natalizio non basta certo per inverarla. Malgrado tutto, comunque, fino alla smentita definitiva per Sin-Dee è lecito crederci: qui è la vera sorpresa, nel tentativo tenace di costruire una storia d’amore normale da parte di un diverso. Che si ferma solo al muro dell’evidenza.

In barba all’orgogliosa diversità del presupposto, dunque, il film lo smentisce con questa voglia di normalità e poi addirittura si sbroglia in uno scioglimento convenzionale, che passa per il tradimento dell’amica e il successivo perdono: davanti al gesto omofobo finale, infatti, tra Sin-Dee e Alexandra si salda definitivamente il patto tra deboli ed è pronta la riconciliazione. L’unione passa per una spoliazione e un ri-vestimento, Sin-Dee si toglie la parrucca e Alex le applica la sua come una coperta, in un atto simbolico di vicinanza, che nella notte di Natale mostra finalmente la strada da percorrere. Tutto sommato, un Christmas tale piuttosto tradizionale.