TRAMA
Un padre e un figlio viaggiano dal Portogallo a Berlino a causa del coma improvviso della rispettiva moglie e madre.
RECENSIONI
Spazio relazionale quello di Swans, superficie berlinese lacerata dalle traiettorie stridentemente divergenti dei due personaggi principali: ladolescente Manuel (Kai Hillebrandt) e il padre Tarso (Ralph Herforth), monadi che gravitano attorno al corpo esanime e clinicamente assistito della madre Petra (Maria Schuster), fulcro di un microcosmo familiare disgregato e segnato da distanze incolmabili. Manuel taglia dinamicamente il tessuto metropolitano, solcandolo con inquiete camminate, lanciandosi agilmente nei suoi skatepark, intrufolandosi nei suoi retrobottega. Tarso occupa staticamente gli spazi a sua disposizione, sdraiandosi mollemente sul divano a guardare programmi sportivi, sedendosi a fianco della ex moglie e tentando persino di soffocare fisicamente la propensione esplorativa del figlio in una delle sequenze più minacciose e tumultuose del film. Anche il loro modo di entrare in comunicazione con Petra è diametralmente opposto: dopo un iniziale fase di sconcerto, il giovane cerca un contatto fisico sia indiretto (toccando i cosmetici e indossando gli indumenti materni) che diretto (palpando la madre senza tralasciare le parti intime). Luomo, al contrario, tenta di stabilire unimprobabile interazione visiva, raddoppiando per giunta linfruttuoso conato comunicativo mostrando alla ex moglie in coma la propria immagine fotografata col cellulare. Personaggi chiusi nei rispettivi circuiti: fisico e sensoriale quello del figlio, visivo e verbale quello del padre. Pianeti sideralmente lontani, orbite inconciliabili, benché entrambi abbiano loccasione di riflettere sui limiti che li bloccano.
Tra loro, oltre al corpo inerme della donna, si frappone lapparizione di Kim (Vasupol Siriviriyapoon), transessuale orientale che compare misteriosamente nellappartamento di Petra (è la sua attuale compagna o soltanto la sua coinquilina?). La nuova presenza agisce come ulteriore fattore di incompatibilità tra padre e figlio, suscitando in Manuel un moto di avvicinamento alla madre mai conosciuta prima e intensificando il suo desiderio di azione (desiderio che lo porterà ad aggregarsi ad alcuni writer e farsi arrestare in un deposito ferroviario). Sguardo gelido ma non asettico o mortificante, Hugo Vieria da Silva abbassa la temperatura emotiva di Swans evitando accuratamente il patetismo da scene madri e affidando allimmagine la sovranità semantica (la detersione di Petra nel letto dospedale: dialoghi azzerati, rumori dambiente, particolari di valore tattile). Il cineasta portoghese, al suo secondo lungometraggio, flette la spigolosa rigidità del digitale verso risonanze sensoriali che amplificano per contrasto il volume dei corpi, la loro consistenza, la loro tangibilità. Sono i corpi a parlare, ad articolare un linguaggio primario e ineludibile, prima che la mistificazione conciliatoria della lingua verbale. Ciononostante Swans non si cristallizza in reificazione voyeuristica, non sasciuga sino a farsi arida maniera. Non ha - soprattutto - il timore, mentre tace le psicologie, di sposare stereotipi psicologici, quegli abiti retorici di cui ognuno si veste, quelle semplificazioni a cui ognuno si riduce per comunicare, per - semplicemente - vivere.
Così la desertificazione drammaturgica è solo uno degli asintoti verso cui tendere, non il dogma sovrano, non lideale rigore stilistico che acceca leffettiva e viva banalità della realtà: per questo Manuel fa anche quello che da lui (e dalla sua età, dal suo essere nel mondo) ci aspetta, sposando la retorica delladolescenza, quel déjà-vu concretamente già visto, già registrato altrove, impresso su altri schermi (si pensi alle assonanze con Paranoid Park di Gus Van Sant), per questo non è affatto fortuito che il dialogo nel commissariato tra il padre e il poliziotto faccia largo uso di stereotipi predicatori, di parole che si autodenunciano come stantie formule socialmente accomodanti. Il loop muto del dire (lincapacità dialettica del padre, il suo infrangersi contro il muro dellincomunicabilità), il feticismo disorientante del fare, del toccare (la ricerca identitaria di Manuel che è, prima di tutto, feticitistica): Swans, come il corpo comatoso che lo abita, provoca schemi mentali e abitudini percettive (specificamente cinematografiche). E allora le parole vuote sono segni che saffastellano sul puro esserci dei corpi, sullessenzialità delle cose (quella che fotografa i luoghi vuoti, lassenza umana e insieme la sua presenza necessaria, che ha fatto dellambiente scultura, artefatto, nuovomondo) e fanno di Swans cinema aperto, che nella durata e nei silenzi, nelle ellissi e nei misteri, nel denudarsi di ogni retorica e schema interpretativo invita lo spettatore a porre in circolo significati intimi o convenzionali, mirando a scardinare rimossi, a farsi banco di prova per certezze.
È un dispositivo dinquietudine, cinema obliquo dove la realtà è mostrata, ma - con consapevolezza esibita - mai esaustivamente. E a questo provvede anche una modulazione del fuori campo che semina dubbi di pungente ambiguità (Manuel annusa o assapora gli umori della madre?). Intimo ed esplorativo, Swans si dialettizza in forme cinematografiche che stabiliscono un dialogo con lo spettatore al di qua e oltre il tracciato narrativo. Ma lo fa paradossalmente: sottraendogli la compiutezza astratta del senso (il rifiuto del percorso di crescita/maturazione di Manuel) e offrendogli in cambio lincoativa concretezza dei sensi (incoativa poiché non terminata, colta in un processo che lo spettatore è sollecitato a condividere e proseguire). Sulla scia che da Antonioni giunge a Tsai Ming Liang: è cinema che fotografa quel che resta delluomo al tempo della sopraffazione delle cose. Non più lassoluta certezza di una chiara visione del mondo, ma la sensazione di farne materialmente, precariamente parte.
Alessandro Baratti & Giulio Sangiorgio
Come spesso succede nei festival, e ciò accade con particolare (e preoccupante) puntualità anche a Torino, le opere migliori vengono fuori grazie allabilità dei selezionatori nel pescare dalle sezioni minori dei grandi festival (Cannes, Berlino, Venezia) o addirittura dalle sezioni principali di manifestazioni minori (Toronto, Rotterdam). Proprio questo è stato il destino di Swans, applaudito alla Berlinale e apprdonato a Torino nella sezione Torino Film Lab, affluente parallelo al TFF che dal 2008 si propone di appoggiare i giovani filmaker emergenti.
Swans inizia con un viaggio, quello di un padre e di un figlio che dal Portogallo vanno a Berlino, un transito che nel suo mostrarsi (corridoi di aeroplani, passaggi da un mezzo di trasporto allaltro, inquadrature sghembe in auto) acquista una valenza specificatamente metaforica: si tratta infatti di un viaggio interiore, dellarrivo forzato in Germania a causa del coma di una madre e moglie e il conseguente stravolgimento della quotidianità dei due protagonisti, materiale ma soprattutto esistenziale. Arrivati a Berlino, conosciuta la donna attraverso una straziante scena in cui gli infermieri le lavano il corpo immobilizzato, si apprende immediatamente che lopera in questione sarà impostata sullinazione, sullassenza, sul dolore. In particolare la condizione della donna sarà lagente per scandagliare le personalità dei due uomini, per ragionare sulla loro incomunicabilità, sullestrema difficoltà di manifestare un dolore che se condiviso sarebbe dimezzato.
Lapprofondimento dei due caratteri è di rara intensità e dimostra la capacità dellautore di saper lavorare sulla loro solitudine - sono rare le scene in cui partecipano alla medesima inquadratura - e i rispettivi, differenti modi di affrontarla. Il figlio nei momenti di solitudine, che ricerca ogni volta che può, manifesta una lacerante fragilità, un bisogno di condivisione del dolore al quale reagisce creando nuove identità - in questo senso sono simboli particolarmente efficaci le maschere che indossa e luso degli specchi che sdoppiano il personaggio - alle quali affidare il peso del trauma. Il padre invece è dilaniato dallinterno da un dolore che non riesce ad esprimere perché in conflitto con un orgoglio altrettanto grande, con la fatica a mostrarsi fragile agli occhi del figlio. Un processo di repressione che sfocia in sfoghi violenti (lanci di oggetti e incoscienti corse in auto) o tentativi di isolamento completo - resi in maniera suggestiva dal regista come nel caso della scena nellautolavaggio.
Sebbene il film possieda grandi qualità fin dallo script, ciò che lo rende qualcosa di speciale è il linguaggio che il giovane regista utilizza per raccontare una storia così delicata. La macchina da presa di Hugo Vieira Da Silva emana rigore da ogni inquadratura, dona la sensazione di un esistente che sovrasta lazione, facendo entrare e uscire i personaggi da un quadro che non li segue, che li assoggetta alla priorità del reale. Scelte stilistiche ambivalenti che da un lato offrono un elevato tasso di realismo e di coraggio - come dimostrano le esposizioni dei corpi - e dallaltro una spiccata sensibilità per il simbolismo e la metafora, che trova una delle sue massime espressione verso il finale nella scena nel seminterrato in cui a dominare è la presenza dellassenza.
Il suo film affronta temi estremamente delicati come il trauma, il dolore e la sua elaborazione con un sobrietà e un rigore stilistico che ne amplificano l'intensità. Da dove nasce lesigenza di narrare proprio questa storia?
Nel film vengono trattati diversi temi, ma la prima spinta a scriverlo è collegata a una precedente esperienza personale, una memoria remota, ma è ciò che è riemerso in quel momento, forse come risultato di un lungo inverno in solitudine.
Un mio amico improvvisamente è andato in coma a causa di una lunga malattia. Penso che questo genere di esperienza borderline ci porti dentro noi stessi ed è probabilmente in questo movimento che ogni cosa è delineata, perché la morte di coloro ai quali siamo più legati è una morte intima che ci tocca nel più profondo, e davvero, quando iniziamo a vedere ciò che realmente la morte significa, il nostro sguardo è gettato dentro le nostre profondità. È intimo perché ci pone più vicino alle nostre emozioni. È particolarmente complesso in una società che affossa e allontana questa introspezione il più lontano possibile.
Questa essenza, questo cammino da seguire, il difficile cammino nell'intimità, è una delle chiavi di lettura di Swans.Come affrontare e accettare qualcosa che non ha una risposta razionale? Come rapportarsi con il corpo, laltro e la morte?
Qual è la relazione tra i corpi, intendo anche tra coloro che non sono ancora in coma?
Quale è il ruolo che esercita sulle dinamiche della narrazione la diversità fisica, etnica e comportamentale della transessuale orientale?
Kim, il transessuale, è creato soltanto attraverso lo sguardo di Manuel. Appare e scompare, non sappiamo niente di lui-lei.
Lei-lui in questo film si presenta come fosse un fantasma. Un fantasma casalingo. Pare essere al di sopra di tutti i dolori umani, perciò è una figura idealizzata con tutte le caratteristiche che in modo romantico si associano con alcune culture dell'Asia: un permanente stato meditativo e una qualità senza genere. Questa è la ragione per cui appare spesso come una soggettiva di Manuel. Lui-lei esiste quasi soltanto attraverso i suoi occhi. Il viaggio di Manuel (la scoperta del corpo della madre) è inizialmente innescato dal desiderio di Kim (un Kim feticizzato, un fantasma), ma questo viaggio non si muove verso lo sviluppo della sua identità (genere o maturazione/raggiungimento della maggiore età) ma piuttosto si apre a uno spazio sensoriale indefinito: unesplorazione fisica di un mondo che non si sottomette al linguaggio convenzionale. Ciò che accade lì è chiaro. Suo padre Tarso si imbarca nello stesso viaggio ma in un modo molto differente.
Nella stanza di ospedale, è sempre il personaggio femminile (madre/moglie) a essere in primo piano. Qual è la ragione del concedere più rilevanza nel quadro alla figura che, nella sua condizione menomata, emarginata e silenziosa, non ha un ruolo attivo ma solo indiretto nella narrazione?
Bene, penso che Petra (la madre) sia tanto personaggio quanto il padre o il figlio. Lei è in realtà il personaggio centrale di questo film. Swans riflette il tema della comunicazione, e specialmente sulle altre modalità di comunicazione delle quali possiamo avere esperienza come esseri umani. La comunicazione non può essere limitata a quello che noi definiamo comunemente linguaggio. Sto parlando di un altro territorio oltre ogni concetto triangolare freudiano.Altre possibilità di comunicazione sono messe in atto dai personaggi. Swans esplora la possibilità che ciò che connette noi come esseri umani non è soltanto il concetto tradizionale delle emozioni o linguaggio
Se vi è mai capitato di passare un po di tempo con una persona in coma sapete di cosa sto parlando. Maria Schuster, che interpreta Petra, ha accettato la sfida di incarnare una persona in coma. Normalmente gli attori vengono utilizzati per costruire un background psicologico o biografico dei loro personaggi. In questo caso, tuttavia, lei non ha potuto usare questi mezzi convenzionali. Insieme (in un lavoro collettivo con il drammaturgo e coreografo Heidi Wilm) abbiamo cercato di far emergere il suo personaggio solamente attraverso la presenza fisica. Nella maggior parte delle scene di Petra lei non sta recitando o rappresentando qualcuno in coma. Lei realmente reagisce alla presenza di qualcuno nella stanza, al tocco di Manuel, etc.
Come potete vedere non eravamo interessati alla psicologia...
Ciò che colpisce nel suo stile non è tanto lutilizzo sistematico dellinquadratura fissa, ma che la sua finalizzazione figurativa si compie in un secondo tempo. Ad esempio una figura si presenta inizialmente tagliata allaltezza dell'addome, ma poi si abbassa (chinandosi o sedendosi) fino a entrare armonicamente nel quadro. Cè un motivo in questa scelta espressiva?
Sono spesso più interessato in ciò che non è nellinquadratura (il cosiddetto "spazio negativo" o "fuoricampo") perché credo che la potenza della nostra immaginazione sia molto forte. Credo in un cinema che non ha bisogno di imporsi sullo spettatore ma che lasci spazio a uninterpretazione personale e soggettiva: un tipo di gioco condiviso con lautore. Un cinema che dia allo spettatore la possibilità di uscire qualche volta dalla narrazione e tornare indietro se lo desidera. Normalmente mi piacciono i film che mi lasciano abbastanza spazio per costruire il mio mondo. Il film come mezzo, come un mezzo così potente... che potete anche sentire, toccare, essere toccati... Forse non solo guardare.
Il suo è un cinema nel quale la narrazione è funzionale alle immagini. Ci sono autori che lhanno ispirata? E quali?
Spero che nei miei film abbiate la possibilità di uscire dalla narrazione. Mi ispirano molte cose o registi ma principalmente penso che stia cercando un "cinema sporco", cioè un cinema che non si sottometta soltanto alle regole convenzionali della narrazione e al cosiddetto linguaggio cinematografico, anche se voglio giocare con le regole codificate. Sono molto interessato alla performance e alla danza contemporanea, principalmente ad altri processi artistici e talvolta li porto nel mio cinema. Spesso lavoro o collaboro anche in altri campi artistici con performer, artisti e questa è una grande fonte dispirazione. Ovviamente ci sono registi come Bresson e pochi altri (non così tanti), ma sarebbe molto riduttivo limitare la mia esperienza a pochi nomi di registi.
Swans: perché questo titolo?
L'espressione Swans naturalmente è carica di una moltitudine di significati e di una dimensione simbolica che differisce da cultura a cultura. Preferirei non delimitare il suo significato per il film. Penso che ogni spettatore sia sicuro di trovare un rapporto personale tra il titolo e la storia e forse non solamente a livello simbolico
(a cura di Daniele Bellucci, Luca Pacilio e Attilio Palmieri)